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Il Senato Accademico interviene sul ddl Moratti approvando all'unanimita'
un ordine del giorno

Il Senato Accademico dell'Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia, riunito in data 27 ottobre 2004, esprime un giudizio
particolarmente negativo sul disegno di legge delega per il riordino
dello stato giuridico dei professori universitari nella versione
risultante dall'esame della Commissione Cultura della Camera.
La critica si rivolge anzitutto all
quadro riformatore d'insieme in cui collocare le norme sullo stato
giuridico e sul reclutamento dei professori universitari. A ciò si
aggiunge la grave mancanza di un riferimento certo alle risorse
finanziarie ritenute necessarie per attuare una riforma che, come
rilevato dalla Conferenza dei Rettori, sarebbe del tutto illusorio e
fuorviante immaginare senza oneri immediati e in prospettiva.
Per queste ragioni di fondo, il Senato Accademico dell'Università di
Modena e Reggio Emilia si unisce alla protesta del mondo universitario,
affinchè si sospenda l'iter parlamentare del disegno di legge, in attesa
di arrivare a soluzioni concordate.
Il Senato, oltre a seguire con costante attenzione l'evolvere delle
iniziative legislative, invita le Facoltà ad approfondire il dibattito
sul disegno di legge con l'obiettivo di contribuire in positivo
all'individuazione di soluzioni che possano essere recepite in un vero
quadro riformatore. In linea con questo obiettivo, il Senato Accademico,
dopo aver esaminato il disegno di legge, ha preparato un documento quale
base per una discussione di Ateneo.
Documento del Senato Accademico sul disegno di legge delega per il
riordino dello stato giuridico dei professori universitari
Il Senato Accademico ritiene che il disegno di legge nel suo complesso
non sia indirizzato a sviluppare il modello di Università definito nei
principi basilari richiamati con l'emendamento di cui al nuovo articolo
1. Del resto, lo stesso condivisibile riferimento all'autonomia
dell'Università e al sistema di valutazione nazionale dell'attività
didattica, ivi contenuto, è espresso in modo tanto generico da consentire
al Governo di perseguire qualunque futuro assetto gestionale
dell'Università.
In particolare, nel disegno di legge manca un effettivo orientamento a
valorizzare il merito e la qualità come principi ispiratori della
ricerca, della didattica e della loro organizzazione. Oggi, proprio tali
principi dovrebbero essere attuati e concretizzati compiutamente dal
legislatore per garantire, con le leve normative e finanziarie più
idonee, la realizzazione di un sistema universitario capace di
valorizzare le potenzialità e le specificità delle diverse sedi
universitarie.
Per intraprendere tale percorso è necessario intervenire sugli strumenti
di valutazione dell'attività di ricerca e della didattica dei singoli
docenti e degli atenei, collegando la valutazione ad un sistema selettivo
di allocazione delle risorse che premi l'impegno e la qualità degli
Atenei e dei/delle docenti che vi lavorano. Per il raggiungimento di
questo obiettivo è essenziale continuare il percorso di autonomia
finanziaria e gestionale degli atenei, iniziato nei primi anni novanta e
interrotto nei fatti con il blocco delle assunzioni e con interventi di
deroga che stravolgono le programmazioni delle Facoltà e degli Atenei.
Altrettanto importante è la dotazione di risorse adeguate a mantenere e
migliorare le strutture di ricerca e di didattica sulle quali la qualità
e la competitività si sostengono. A tale riguardo il Senato Accademico
rileva come nel disegno di legge non vi sia attenzione alle strutture e
alle risorse finanziarie che rappresentano le condizioni indispensabili
per un pieno e imprescindibile riconoscimento della funzione di alto
profilo istituzionale svolta tanto dall'Università, quale soggetto
pubblico, quanto dai docenti che vi operano.
In base a tale premessa, il Senato Accademico esprime una posizione
critica soprattuto sui seguenti punti specifici del disegno di legge
delega.
L'obiettivo di assicurare al sistema universitario un numero consistente
di giovani attori della ricerca, competitivi a livello internazionale
richiede, per un verso, una chiara indicazione nel disegno di legge degli
obiettivi formativi del nuovo percorso di incardinamento dei giovani nel
sistema universitario e dei criteri di valutazione della loro attività.
Per altro verso, si rivela necessario un riferimento più esplicito al
regime di tutela normativa e finanziaria di tali figure di contrattisti a
termine, con riguardo ai livelli retributivi e alla attribuzione di
risorse per l'attività di ricerca, paragonabili a quelle di analoghe
figure straniere e comunque significativamente superiori a quelle degli
attuali ricercatori. Regole chiare e livelli retributivi adeguati sono
infatti la condizione per essere effettivamente competitivi
nell'assunzione del personale migliore per la ricerca e la docenza.
A fronte del fondamentale contributo al funzionamento dell'Università che
da anni i ricercatori hanno fornito attraverso la loro attività didattica
e di ricerca, il ddl riconosce loro il titolo di professore aggiunto solo
subordinatamente al superamento di una prova di valutazione didattica e
scientifica e senza prevedere un ampliamento dei diritti e dei connessi
riconoscimenti economici e normativi. Inoltre i ricercatori non ammessi
al nuovo ruolo andranno presumibilmente a formare una quarta fascia di
personale docente, con oneri didattici ancora una volta non formalizzati.
L'esaurimento del ruolo dei ricercatori e l'introduzione di contratti di
diritto privato a tempo determinato per compiti di ricerca e di didattica
integrativa, tenendo conto dell'incremento dei pensionamenti previsto nei
prossimi anni, rischia di creare una situazione di grave carenza di
docenti strutturati a pieno titolo. La preoccupazione è resa ancora più
viva dalla previsione di limitare i contratti alla sola didattica
integrativa, con l'effetto di aumentare il peso della didattica frontale
distribuito su di un minor numero di docenti stabilizzati, con ricadute
pericolose anche sulla distribuzione tra ricerca e didattica il cui
intreccio qualifica la docenza universitaria
L'abolizione del tempo pieno e la definizione dell'unico vincolo previsto
per poter svolgere le attività esterne come <rispetto dell'obbligo di non
concorrenza, nonché l'assenza di ulteriori profili di nocumento per
l'Università> contrastano con l'obiettivo, che riteniamo oggi
prioritario, di valorizzare l'Università come ambito privilegiato delle
competenze di ricerca e di formazione. Coerentemente con un modello di
Università che deve promuovere, anche attraverso un sistema selettivo di
valutazione, la qualità, la continuità e la diffusione della ricerca
scientifica, occorre indirizzare le risorse a sostegno dell'impegno di
docenti e ricercatori/ricercatrici che si dedicano pienamente
all'attività universitaria. Peraltro, la riforma degli ordinamenti
didattici e il perseguimento di obiettivi che mirano alla qualità e
all'allargamento dell'offerta formativa, richiedono una maggiore
partecipazione dei docenti alle fasi di progettazione e gestione dei
corsi. Più che prevedere un impegno minimo dei docenti, assolto il quale
ognuno sarebbe libero di svolgere all'esterno altre attività, è
necessario valorizzare, attraverso opportuni incentivi, l'incremento e
l'intensificazione di attività didattiche e organizzative, senza nel
contempo penalizzare le attività di ricerca.
Relativamente alle nuove forme di reclutamento, basate su procedure di
idoneità scientifica unificate a livello nazionale, il Senato Accademico
condivide le preoccupazioni espresse dalla CRUI circa il rischio di
<ritornare alle procedure concorsuali già sperimentate in passato e i cui
inconvenienti, di vario ordine, si sono dimostrati non minori e non meno
gravi di quelli che si imputano alle attuali prove di valutazione
comparativa a valenza nazionale ma con svolgimento locale>. Se
l'obiettivo della riforma deve essere quello di aumentare la
responsabilità degli atenei rispetto alle proprie politiche di
assunzione, occorre che tale responsabilizzazione avvenga in un quadro in
cui la qualità del reclutamento, e dei conseguenti risultati scientifici
e formativi, sia premiata con adeguati finanziamenti. In maniera
complementare, politiche di assunzione orientate da criteri discrezionali
e non competitivi, avrebbero una ricaduta negativa sull'attività
scientifica e didattica degli atenei anche per una possibile sanzione in
termini di minori trasferimenti di risorse ministeriali. In un sistema in
cui valutazione, selezione e autonomia finanziaria delle università si
coniugano per promuovere la qualità della ricerca e della didattica, è
preferibile una soluzione che lasci ai singoli atenei la responsabilità
delle scelte compiute in materia di reclutamento.
La possibilità di istituire, con l'utilizzazione di fondi di
finanziamento pubblici o privati, posti di professore di prima fascia, da
coprire mediante il conferimento di incarichi triennali a favore di
soggetti semplicemente <in possesso di elevata qualificazione scientifica
o professionale>, rappresenta una modalità di inserimento nei ruoli
accademici indefinita nei suoi termini operativi e ambigua quanto alle
politiche di reclutamento. Il Senato Accademico giudica tale proposta
incoerente rispetto all'obiettivo di garantire percorsi formativi e
selettivi trasparenti rispetto a regole sedimentate e all'assunzione di
docenti qualificati.

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