Il Consiglio della Facolta' di Ingegneria dell'Università degli Studi di Genova, riunitosi venerdì 8 ottobre, ha ampiamente discusso i contenuti del DDL sullo stato giuridico dei docenti universitari e ha approvato, a larghissima maggioranza, i contenuti della seguente lettera aperta.
Pur manifestando forti perplessità su molti punti del disegno di legge, la lettera vuole essere un contributo costruttivo al processo di riforma del sistema universitario, di cui abbiamo certamente bisogno. La lettera è stata inviata al Ministro Moratti, al nostro Rettore, alla Segreteria CRUI, alla Conferenza dei Presidi delle Facolta' di Ingegneria (COPI).
E' stato inoltre emesso un comunicato stampa, inviato all'ANSA ed ai principali quotidiani.
A nome del Preside, prof. Gianni Vernazza, porgo a tutti cordiali saluti
Sergio Lagomarsino
LETTERA APERTA AL MINISTRO LETIZIA MORATTI
Desideriamo, Signor Ministro, contribuire all'importante dibattito
generato dalla legge delega per il riordino dello stato giuridico dei
professori universitari attualmente in discussione. Un dibattito di
particolare rilievo per la Facolta' di Ingegneria dell'Universita' di
Genova, citta' scelta per la collocazione dell'IIT, Istituto Italiano di
Tecnologia, la cui denominazione si richiama a quella che e' l'indubbia
vocazione primaria della nostra Facolta'. E ci lasci subito sgombrare il
campo da errate interpretazioni di questo nostro intervento che non
intende in alcun modo affrontare questioni (pur legittime) di natura
sindacale ne' collocarsi in quel filone di difesa corporativa di privilegi
consolidati che parte della Comunita' Accademica ha talvolta utilizzato
nel passato, per opporsi all'esigenza di una riforma strutturale del
sistema Universitario. Noi riteniamo che una legge di riordino dello stato
giuridico dei professori universitari, specie se coniugata a provvedimenti
che promuovano forme di governo piu' efficienti degli Atenei, sia del
tutto auspicabile. Accogliamo quindi con favore le iniziative che il Suo
Ministero ha intrapreso. Cosi' come non possiamo che condividere la
formulazione dei Principi cui la legge dichiara di volersi ispirare,
contenuti in quell'art. 1 che risultava assente nella formulazione
originale della legge, in particolare:
- l'Universita' come sede della formazione e trasmissione critica del
sapere, che coniuga, quindi, in modo organico ricerca e didattica,
attraverso una gestione ispirata a principi di autonomia;
- l'introduzione di processi di valutazione delle attivita' di didattica e
ricerca;
- la formulazione di un piano di investimenti volti al sostegno degli
studenti meritevoli non abbienti, all'aumento del numero di coloro che
accedono all'istruzione superiore, a favorire l'accesso dei giovani alla
docenza universitaria, a potenziare la ricerca di base, a promuovere
l'internazionalizzazione.
Si tratta di principi che riguardano alcune delle criticita' del sistema
Universitario del nostro Paese largamente riconosciute, in particolare:
l'assenza di una normativa relativa agli obblighi di ricerca dei docenti
universitari e la vaghezza con cui ne sono definiti gli obblighi
didattici; l'autoreferenzialita' che tuttora prevale nel governo degli
Atenei; l'insufficienza delle politiche di diritto allo studio, in
particolare l'assenza di strumenti quali i 'prestiti d'onore' e la
scarsita' delle residenze universitarie; il livello basso di diffusione
dell'Istruzione Superiore (12% circa contro il 29% della media UE); l'eta'
media elevata dei docenti (il 58% nella fascia 50 - 60 anni) e il basso
numero di dottori di ricerca (inferiore ad un terzo della media europea);
l'insufficiente impegno finanziario che il sistema paese, sia attraverso
il MIUR, sia attraverso gli enti pubblici di ricerca, sia soprattutto
attraverso il sistema delle imprese, dedica alla ricerca (circa l! '1% del
PIL contro il 2-3% dei principali paesi industrializzati); la modesta
mobilita' internazionale dei docenti. Non e' qui rilevante analizzare le
cause che hanno prodotto le attuali difficolta', e' sufficiente forse
affermare che ad esse non sono estranee ne' la Politica ne' l'Accademia.
Cio' che ci pare, tuttavia, necessario e' analizzare se la legge in
discussione affronti alcuni dei nodi discussi e quale modello di sistema
universitario essa prefiguri. A noi pare che l'Universita' vagheggiata nel
testo licenziato dalla Commissione contenga una improbabile commistione di
elementi presenti nel sistema universitario Statunitense con altri
elementi tipici della tradizione Europea e con l'accentuazione di alcune
manchevolezze tradizionali del sistema Italiano. Da una parte, infatti, la
legge propone un rimedio al conclamato fallimento dell'attuale sistema di
reclutamento attraverso un parziale ritorno alla centralizzazione dei
concorsi, cioe' attraverso una riduzione di autonomia degli Atenei. Un
provvedimento da molti auspicato e non ingiustificato, ma che
oggettivamente allontana l'Universita' Italiana dal modello che, a partire
dagli U.S.A., si e' andato estendendo a molti paesi europei, fondato su
un'accentuata autonomia degli Atenei, cui deve peraltro essere associato
un elevato grado di responsabilita'. D'altra parte, la legge tenta di
introdurre elementi di flessibilita' nel sistema. In particolare viene
introdotta, nel trattamento economico dei professori universitari, una
parte variabile accanto a quella fissa e si precarizza la fase iniziale
del rapporto di lavoro: un modello, quindi, ispirato al sistema del
'tenure track' statunitense, che parrebbe voler incentivare l'autonomia
degli Atenei. Il tentativo di commistione di diversi sistemi e' in qualche
misura forzato in un contesto come quello Italiano, in cui permane il
valore legale del titolo di studio. L'impianto complessivo della Legge
sembra tuttavia suggerire che l'introduzione di elementi di flessibilita'
sia utilizzata per disegnare un'Istituzione in cui domina un'istruzione
terziaria a prevalente contenuto professionalizzante e in cui la ricerca
svolge un ruolo trascurabile. Cio' si evince analizzando quali sono i
connotati del Professore in essa vagheggiato. Anzitutto la parte variabile
della sua retribuzione viene fatta dipendere dalle disponibilita' di
bilancio, dalla valutazione della sua attivita' e infine dall'affidamento
di incarichi (di ricerca, didattici o gestionali) aggiuntivi rispetto
all'impegno minimo richiesto, che consiste in 350 ore annue di cui 120 ore
di didattica frontale. Non e' difficile inferire in che cosa possa
consistere tale impegno 'a tempo pieno': attivita' didattica frontal! e,
verifiche di apprendimento, partecipazione alle sedute di Laurea,
assolvimento dell'obbligo Istituzionale di partecipazione agli svariati
Consigli (di Facolta', di corso di Laurea, di Dipartimento). Le attivita'
di tutoraggio, le verifiche di apprendimento intermedie, la supervisione
di tesi di laurea, la predisposizione di efficaci strumenti didattici, la
supervisione di dottorandi, la partecipazione alle numerose attivita' di
gestione dell'Ateneo non sono comprese fra gli obblighi di un docente 'a
tempo pieno' nella Sua 'Universita' di massa'. Ma soprattutto, Signor
Ministro, ci preoccupa la constatazione che per il professore 'a tempo
pieno' la ricerca, ancorche' soggetta a valutazione, si riduce
sostanzialmente ad un optional: una situazione non dissimile da quella
attuale ma con il difetto di essere codificata. Non Le pare allora che sia
almeno ridondante la precisazione, contenuta nella legge, secondo cui le
attivita' professionali e di consulenza esterne, che diventerebbero
compatibili con il rapporto di lavoro a tempo pieno, devono rispettare gli
"obblighi derivanti dagli impegni scientifici e didattici"? Va detto,
tuttavia, che l'optional puo' risultare assai piu' remunerativo se
interviene un soggetto esterno a finanziare un progetto di ricerca. La
convenzione puo' anche prevedere l'istituzione temporanea di posti di
professore di I fascia. Qui la flessibilita' diventa totale: anzitutto
l'incarico puo' essere affidato non solo a idonei ma a "soggetti in
possesso di elevata qualificazione scientifica e prof! essionale"
(valutata si immagina a livello locale); inoltre la remunerazione e' di
fatto arbitraria in quanto sostanzialmente decisa dal soggetto esterno.
Convivono quindi nell'Universita' di Stato da Lei vagheggiata professori
'a tempo pieno' che non fanno ricerca, retribuiti dalla collettivita'
nella stessa misura dei professori che per loro elezione si dedicano alla
ricerca (valutati e incentivati in dipendenza dalle disponibilita' di
bilancio, cioe' non incentivati) e infine professori che fanno ricerca
solo su commissione (non necessariamente valutati ma tuttavia incentivati
a loro piacimento). Non e' qui in discussione l'opportunita' di
incentivare il rapporto Universita' - Impresa, obiettivo che naturalmente
condividiamo, ma tale rapporto puo' rivelarsi proficuo solo se
nell'Istituzione Universitaria sara' effettivamente possibile "potenziare
la ricerca di base" e "coniugare in modo organico ricerca e didattica". Vi
e' poi la questione piu' spinosa, quella del reclutamento dei giovani. La
Sua legge e' in questo caso molto chiara: abolizione del ruolo dei
Ricercatori, reclutamento per contratto, precarizzazione del rapporto per
un tempo che puo' arrivare a 8 anni successivi alla laurea. L'abolizione
del ruolo dei ricercatori ne ignora il ruolo fondamentale, su cui si e'
largamente fondato il funzionamento degli Atenei negli ultimi decenni: la
loro immissione in un ruolo ad esaurimento di 'professori aggiunti' (la
storia si ripete, ricorda il famigerato ruolo dei professori aggregati?)
sembra del tutto coerente con la marginalizzazione della ricerca
apparentemente perseguita nella Legge. L'opportunita', poi, di un breve
periodo di precarizzazione del rapporto e' del tutto condivisibile. Ma il
suo eccessivo prolungamento si ispira ancora al modello adottato negli
U.S.A, in cui esistono oltre 3000 Istituzioni che si occupano di
istruzione terziaria, fra cui alcune delle migliori Universi! ta' del
mondo (ma anche alcune delle peggiori). Un Paese in cui il mercato della
ricerca e della formazione e' cosi' vasto e diversificato da consentire un
futuro anche ai meno brillanti postdoc. Nel nostro Paese l'attuazione
della Sua legge scoraggerebbe ulteriormente i giovani brillanti
dall'intraprendere una carriera il cui grado di incertezza non avrebbe
eguali in alcun Paese Europeo negando uno dei principi enunciati dalla
Legge ('favorire l'accesso dei giovani alla docenza universitaria').
Signor Ministro, l'Universita' e' la sede primaria della ricerca nel
nostro Paese e la sua produttivita' e' confrontabile con quella delle
Universita' dei maggiori Paesi Europei, malgrado il minor numero di
addetti, gli insufficienti finanziamenti, l'insufficiente meritocrazia e
la richiesta posta improvvisamente al sistema universitario di coniugare
una formazione superiore per grandi numeri con qualita' ed eccellenza
scientifica. La Sua legge di riordino dello stato giuridico sembra voler
scindere questi due obiettivi attribuendo il primo ad un circuito di
Universita' sostanzialmente ridotte a scuole professionali e riservando il
secondo ad un minor numero di Istituzioni in cui dovrebbe essere
perseguita l'eccellenza scientifica. Rispetto ad un tale scenario
desideriamo, Signor Ministro, esprimere un fermo dissenso.
Genova, 8 ottobre 2004.