Nella Finanziaria non vi è nessun provvedimento riguardo alla risoluzione della discriminazione inflitta agli insegnanti universitari di madre-lingua ed il cui perdurare rispecchia un atteggiamento beffardo ed irrispettoso nei confronti delle leggi italiane ed europee.
In tutte le università italiane, i lettori ed i collaboratori ed esperti linguistici svolgono, da ormai vent’anni, attività didattica con un profilo professionale di docente riconosciuto da tutte le sentenze passate in giudicato della magistratura nazionale e dalla stessa Corte di Giustizia Europea.
L’ultima sentenza della CGE del 18 giugno 2006 ha condannato di nuovo l’Italia per non aver assicurato, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato, il riconoscimento dei diritti quesiti, mentre tale riconoscimento era garantito alla generalità dei lavoratori nazionali, essendo pertanto venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 228 CE.
La CGE ha deciso inoltre che non vi erano motivi per condannare l’Italia al pagamento di una multa cospicua, come richiesto dalla Commissione dato che, nel momento, non era in possesso di informazioni sufficienti per verificare il perdurare dell’inadempienza dell’Italia.
Il governo italiano, accantonata la paura della multa, non ha provveduto , in nessun modo, a metter fine alla discriminazione in atto in tutte le università italiane, come risulta dalle due sentenze della Cassazione del 13 ottobre 2004 e del 21 gennaio 2005.
L’assenza di provvedimento da parte dello Stato ha portato a nuovi atteggiamenti discriminatori da parte delle amministrazioni universitarie e a nuovi contenziosi che si sommano a tutti gli altri ancora aperti.
I mezzi necessari per risolvere la questione devono essere stanziati dal governo in quanto le università non possono e non devono farsi carico di un onere che dipende dalle gravi inadempienze dell’attuale e dei precedenti governi e che riguardano non solo i diritti quesiti e la ricostruzione della carriera della categoria ma anche un trattamento economico non idoneo ed equiparato ad un tempo parziale mentre l’attività svolta è a tempo pieno, un’assenza totale di normativa ed il non riconoscimento dell’attività svolta, uno sfruttamento intellettuale senza precedenti.
A livello europeo invece, si discute sulla riapertura del processo, e quindi sull’applicazione della multa, in base al regolamento di procedura della CGE che prevede la revoca di una sentenza nel caso di prove insufficienti.
Uno dei più importanti fondamenti della certezza giuridica è che una risoluzione arrivi in tempi ragionevolmente adeguati, e sono passati vent’anni.
Il dovere di uno Stato è quello di dare a tutti i suoi cittadini, italiani e stranieri, che lavorano sul suo territorio, pari dignità professionale e di persona.