Il DDL delega è approdato, come temevamo, alla discussione parlamentare senza l'introduzione nel testo di alcuna significativa modifica e con una precaria e assolutamente inadeguata copertura finanziaria. Ben più consistenti, infatti, dovrebbero essere le coperture ove si volessero davvero conseguire gli obiettivi di: riavviare il reclutamento, consentire il fisiologico ricambio del corpo docente, incentivare la funzione docente con retribuzioni dignitose per i giovani e con le risorse aggiuntive necessarie per adeguamenti stipendiali legati alla qualità, le c. d. "retribuzione variabile". Queste incognite rendono assai debole l'impianto del disegno di legge e, alfine, potranno incidere anche sulla legittimità dell'atto.
Fino ad ora non sono state prese in considerazioni le proposte formulate congiuntamente da Associazioni e Sindacati rappresentativi della docenza universitaria né le indicazioni che sono venute da tutta la comunità accademica nazionale che si è espressa contro il progetto in modo diretto senza bisogno di farsi interpretare attraverso le mediazioni e i c. d."tavoli tecnici" della Conferenza dei Rettori, come bene afferma una voce autorevole e finora inascoltata come quella del Rettore Di Iorio. Così facendo si compromette definitivamente la qualità della formazione universitaria mettendo in crisi l'intero sistema e avvilendo coloro che ne fanno parte. Il nostro Paese, che già attraversa tempi difficili per carenza d'innovazione e perdita di competitività, non ne trarrà giovamento.
Studenti e famiglie si stanno rendendo conto del disastro incombente.
Le effettive rappresentanze del mondo universitario (non solo le associazioni, i sindacati, i coordinamenti dei ricercatori, numerose altre spontanee aggregazioni ma anche, con la stessa impostazione critica e con intenti propositivi senati accademici, consigli di amministrazione, consigli di Facoltà, conferenze dei presidi ecc.) hanno unitariamente espresso serrate e radicali critiche nei confronti del progetto del Ministro e hanno respinto nel metodo e nella sostanza il DDL delega, formulando le proposte alternative che sono state ampiamente illustrate in tutte le sedi.
Questa opposizione è destinata ad intensificarsi nel momento in cui la maggioranza parlamentare dovesse licenziare il testo senza tenere in alcun conto il profondo e generale disagio espresso nell'ambito della comunità universitaria.
I professori che protestano accanto ai ricercatori e a tutte le varie figure (a tempo determinato, in forme contrattuali e precarie) che, nel corso degli ultimi anni, si sono affiancate ai docenti "stabili ", soprattutto per fare fronte a carichi didattici sempre più gravosi, potranno sottrarsi ai vincoli posti dal nuovo stato giuridico in quanto, optando, conserveranno tutte le condizioni che oggi caratterizzano il loro status.
La protesta, perciò, non ha un carattere corporativo.
Se si è formato un movimento tanto vasto e coeso di professori e ricercatori contrari alla riforma Moratti è perché essi vogliono difendere le libertà accademiche, l'autonomia e l'indipendenza dell'Università pubblica, la qualità del sistema universitario che sentono seriamente minacciate a causa della mancanza di un progetto strategico, dell'improvvisazione con la quale si affrontano temi complessi e delicati, della episodica ed incerta allocazione di risorse insufficienti, del confuso ordito normativo di una riforma che non ha nulla di veramente innovativo ed utile.
Si propone un ritorno alla centralizzazione e alla gestione burocratica del sistema universitario, confondendo tra reclutamento e progressione nella carriera premiando il lassismo ed estendendo condizioni giuridiche incerte e precarie, mal retribuite e senza alcun percorso di stabilizzazione, con il duplice rischio di sacrificare una intera generazione di giovani studiosi e di non consentire il fisiologico ricambio del corpo docente, condannando l'Università a perdere qualità e prestigio.
Sono queste le ragioni che hanno indotto il CNU ad aderire al vasto movimento che si oppone ad un progetto poco sensato. Ancora una volta ci appelliamo a quanti, in Parlamento, animati da buona volontà possono cambiare metodo e contenuti, rinunciando a forzature che non trovano consenso nelle Università e nel Paese.