Elezioni RSU votazioni 9 – 10 – 11 dicembre 2003 |
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Così vi spieghiamo le pensioni Con l’emendamento che il governo ha varato venerdì scorso, la riforma del sistema previdenziale incomincia a definirsi con maggiore certezza. Diciamo “incomincia”, perché in realtà è ancora presente un ampio margine di imprevedibilità, come dimostra il fatto che anche dopo il varo dell’emendamento, vengono annunciate misure, come l’estensione ai pubblici dipendenti dell’incentivo previsti per i lavoratori del privato fino al 2008, che non sono affatto certe e che devono eventualmente trovare ancora una precisa definizione. Si tratta, in sostanza, di una riforma che viene costruita giorno per giorno, sulla base degli umori e dei contrasti interni alla maggioranza e dei pareri e della volontà di Confindustria. Il testo vero lo si conoscerà soltanto quando verrà presentato alla discussione parlamentare, ammesso che al Parlamento verrà concessa la possibilità di discuterlo. I ragionamenti che possiamo fare necessitano quindi una separazione del certo dall’incerto. Su quest’ultimo faremo poi alcune ipotesi di sviluppi futuri. GLI ELEMENTI CERTI Dal 2008 cambia la situazione previdenziale per diversi milioni di lavoratori che a quella data si troveranno in servizio. Non cambia, almeno per il momento, per coloro che al 31/12/2007 avranno già raggiunto o superato i 35 anni di contributi versati, unitamente a 57 o più anni di età anagrafica. Vediamo i cambiamenti in rapporto alle diverse situazioni che si possono registrare.
Come è facile notare, praticamente quasi nessuno sfugge all’intervento che la riforma attua in termini di ridimensionamento del diritto (requisiti e calcolo) Non serve a mitigare il danno, il presunto “regalo” o “bonus”, che dovrebbe servire per convincere a rimanere al lavoro coloro che hanno già maturato il requisito alla pensione di anzianità. Lo definiamo “presunto” perché la sua convenienza è dubbia. Chi decidesse di rinviare il proprio pensionamento per ricevere il bonus, avrebbe effettivamente una maggiorazione stipendiale pari al 32,7% del proprio stipendio lordo pensionabile (però la tassazione di questa maggiorazione fa ancora parte delle cose incerte), ma si troverebbe con la pensione congelata, cioè calcolata sulla retribuzione in godimento al momento dell’opzione per il bonus Il Congelamento potrebbe comportare due conseguenze negative:
Considerando un ipotetico periodo di 4 anni (2004-2008) è assai facile prevedere che un rinnovo contrattuale, foss’anche di un solo biennio economico, si possa verificare.
Poiché il rendimento pensionistico cresce mediamente di un 2% per ogni ulteriore anno di lavoro effettivo, una permanenza di 4 anni in regime di bonus determinerebbe una ulteriore perdita dell’8%. La convenienza di questo bonus, per i lavoratori , diventa di conseguenza molto discutibile, mentre diventeranno certi i danni che ne deriverebbero all’INPS per il mancato introito di contributi. Danni che sembrano essere il vero obiettivo di questa riforma e che sono funzionali al sempre più chiaro progetto di privatizzazione del sistema previdenziale. GLI ELEMENTI INCERTI Tra gli elementi dubbi o incerti, possiamo inserire la ventilata ipotesi di operare con gradualità nell’elevare i requisiti di accesso alle pensioni di anzianità, invece che operare in modo secco a partire dal 2008. Sembra esserci uno scontro interno alla coalizione governativa che sembra più destinata a salvare la faccia presso un ipotetico bacino elettorale piuttosto che a produrre effetti concreti Nella stessa linea si colloca la possibilità di estendere anche ai pubblici dipendenti l’incentivo previsto per i lavoratori del privato. Non riteniamo che questa ipotesi abbia grandi possibilità di successo (che per altro noi non auspichiamo affatto!), mentre ci sembra più probabile l’ipotesi di un blocco delle pensioni di anzianità nel pubblico impiego. In ogni caso l’estensione dell’incentivo, per i costi che comporterebbe, difficilmente arriverebbe da sola. E’ più probabile che possa venire accompagnata da quello che in un fumoso testo di riforma viene definito come “armonizzazione” dei vari regimi pensionistici (estensione ai pubblici dipendenti, ai fini del calcolo della pensione, del metodo INPS che vale per i lavoratori del privato) Quello che capiterebbe ai lavoratori della scuola lo si può vedere in modo chiaro dalle simulazioni sotto riportate: Caso 1. - Docente laureato di scuola media superiore che al 1.9.2003 va in pensione con 40 anni di contribuzione di cui 36 di servizio effettivo e 4 derivanti dal riscatto del periodo di studi previsto per il conseguimento della laurea. A 36 anni di servizio effettivo facciamo corrispondere l’ultima posizione stipendiale che si consegue con 35 anni di anzianità e, quindi, dal 1 gennaio 2003. Il calcolo secondo il modello INPS avrebbe come risultato una pensione di euro 1.870,00 con una perdita di euro 265,00 (circa 520.000 di vecchie lire); nel caso in cui questo lavoratore non avesse riscattato la laurea, pertanto 36 anni di servizio e di contribuzione, la perdita sarebbe di 240 euro (circa 470.000 di vecchie lire). Caso 2. - Docente laureato di scuola media superiore che al 1.9.2003 va in pensione con 36 anni di contribuzione di cui 32 di servizio effettivo e 4 derivanti dal riscatto del periodo di studi previsto per il conseguimento della laurea A 32 anni di servizio effettivo facciamo corrispondere la penultima posizione stipendiale che si consegue con 28 anni di anzianità e, nel nostro caso, dal 1.1.2000. Il calcolo secondo il modello INPS avrebbe come risultato una pensione di euro 1.660,00 con una perdita di circa euro 190,00. Come si può notare, si produrrebbero decurtazioni della pensione che possono arrivare in alcuni casi anche fino a 260 euro mensili. Ultime considerazioni Sicuramente quello che colpisce più di tutto l’attenzione e l’immaginario collettivo è l’attacco alle pensioni di anzianità e ai diritti maturati dalle persone dopo anni di lavoro. Questo è sicuramente un fatto molto grave, ma non il più grave in assoluto. Ciò che veramente può determinare la morte del sistema previdenziale pubblico, fa parte, purtroppo delle cose certe che sono quelle contenute nella legge delega sulla previdenza, che è il documento base della riforma. La decontribuzione fino al 5% per i neo assunti ed il trasferimento forzato del TFR ai Fondi Pensione. A questi occorre aggiungere gli effetti che produrrà in breve tempo l’applicazione della Legge 30 (precarizzazione del lavoro e del salario). Poiché sappiamo con quanta facilità le imprese possano licenziare (tra poco anche senza giusta causa?), va da sé che aumenta notevolmente la convenienza e la tentazione di far uscire mano d’opera di 45/50 anni per inserire nuovi lavoratori che costano meno. Il danno per l’INPS a questo punto sarebbe insopportabile. Finirà così che dal 2008 si scoprirà che la previdenza pubblica è in realtà inservibile ed insostenibile e quello che doveva essere il secondo pilastro integrativo della pensione pubblica, diventerà, nei fatti, il pilastro principale e forse l’unico. Siamo troppo sospettosi se ipotizziamo che possa essere soprattutto la previdenza complementare privata? Non uno, ma tanti scioperi; non una, ma tante manifestazioni. Quanti saranno necessari per cercare di impedire lo scempio che il governo Berlusconi vuol fare di un diritto vitale. |
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