L'infortunio in itinere, occorso ad un' insegnante nel tragitto compiuto per recarsi al posto di lavoro, può ritenersi dipendente da causa di servizio indipendentemente dall'uso di mezzi privati o pubblici e dall'autorizzazione del mezzo privato, allorché la mancanza di quest'ultima sia stata continuamente tollerata da parte dell'amministrazione e,comunque, non si tratti, di percorso seguito per raggiungere il luogo di lavoro in regime di missione.
Tale pronuncia è contenuta nella decisione del Consiglio di Stato n. 5603 del 2006.
La questione trae origine dal rigetto della C.M.O, di una domanda di riconoscimento di causa di servizio, a seguito di infortunio in itinere e dalla conferma della decisione con sentenza di primo grado.
L'insegnante subì un infortunio durante il tragitto dalla propria abitazione al luogo di lavoro. La C.M.O. rigettò la domanda di riconoscimento di causa di servizio opponendo la circostanza che la dipendente non aveva seguito la strada più breve ed inoltre non era stata autorizzata ad usare il mezzo privato.
Con la decisione in esame il Consiglio di Stato rileva che:
Il criterio da seguire per verificare l'ammissibilità del percorso lungo il quale si è verificato l'infortunio, non è quello dell'esistenza di una mera deviazione rispetto al tragitto ritenuto più breve, ma quello della valutazione di un percorso che risulti irragionevole rispetto al luogo da raggiungere.
Tale circostanza non risulta peraltro affermata dalla CMO.
La sentenza in esame offre importanti elementi di valutazione per la tutela degli infortuni in itinere:
Si ritiene che ogni caso dovesse presentarsi, comparabile alla fattispecie decisa dal Consiglio di Stato, debba essere attentamente valutato sulla base dei criteri sopra richiamati.
L'infortunio in itinere nella legislazione infortunistica (art. 12 decreto leg.vo n. 38/2000)
Mentre, come sopra evidenziato, il Consiglio di Stato continua a pronunciarsi in termini positivi accogliendo e quindi riconoscendo casi di infortuni in itinere di pubblici dipendenti, di recente la Cassazione si è invece pronunciata negativamente, per ben due volte (Cass. n. 995/2007 e Cass. n. 17167/2006), ribaltando, a nostro avviso un orientamento che, soprattutto negli ultimi anni si era andato consolidando.
In entrambi i casi discussi in Cassazione è stata negata l'indennizzabilità dell'infortunio in quanto non dimostrata la "necessità" dell'uso del mezzo privato di trasporto per raggiungere il posto di lavoro.
Come è noto, infatti, il legislatore nel disciplinare la questione relativa al tipo di mezzo di trasporto prescelto dal lavoratore per coprire l'iter protetto, ha affermato che "l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo privato, purché "necessitato" (art. 13 decreto leg.vo n. 38/2000).
Tale disposizione pone, ogni qual volta ci troviamo ad affrontare un caso, rilevanti problemi interpretativi ed applicativi connessi alla difficoltà di definire con sufficiente certezza il senso da attribuire al parametro della necessità.
Dalla fine degli anni '90 però si è andata affermando una interpretazione evolutiva che, richiamando i principi costituzionali posti a salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore, anche con riferimento alle sue esigenze umane, familiari ed economico sociali ha, in definitiva, identificato il termine "necessitato" con quello più ampio di "giustificato"( in tal senso Cass. 659/2002 , Cass. 10750/2001).
Significative infatti appaiono le argomentazioni che si ritrovano in tali sentenze secondo cui si deve ritenere necessitato l'uso del mezzo privato "per evitare una significativa misura di dispersione di tempo determinata dall'uso del mezzo pubblico", o ancora, "per /' esigenza di raggiungere in maniera più riposata e distesa il luogo di lavoro sì da assicurare un più profìcuo apporto all'organizzazione produttiva nella quale il lavoratore è inserito", o ancora," per l'esigenze di un più intenso rapporto con la comunità familiare", e cosi via.
Orbene, nel recente pronunciamento (n. 995/2007), la Cassazione ha invece escluso la indennizzabilità dell'infortunio poiché "il risparmio dì quaranta minuti che la lavoratrice conseguiva con l'uso del mezzo privato configura solo "una mera comodità personale, trattandosi di differenza di tempo di entità modesta e sicuramente tollerabile".
Del tutto trascurate, inoltre, nella motivazione della sentenza, sono le osservazioni, già fatte presente dalla lavoratrice nei primi due gradi di giudizio, relative all'orario in cui doveva ogni giorno intraprendere il lavoro (ore 6.50 del mattino ) e la malattia pregressa all'infortunio (non è specificato quale!) da cui era afflitta, che rendeva ancora più inconciliabile l'uso dei mezzi pubblici con le sue esigenze familiari.
Anche nel secondo caso (sentenza n. 17167/2006) la Cassazione nega l'indennizzabilità dell'infortunio in itinere partendo dalla considerazione che il "risparmio di tempo di circa 25 minuti per ogni viaggio (si trattava di una lavoratrice part-time con orario variato di mese in mese) non era da considerare gravoso in relazione alle comuni esigenze di vita familiare".
Da quanto sopra detto, pur in presenza di sentenze che farebbero pensare ad una involuzione dell'orientamento giurisprudenziale, va sempre tenuto conto, nella trattazione delle singole fattispecie, delle moltissime e significative pronunce della Suprema Corte di diverso tenore che possono offrire elementi utili per la sostenibilità dei casi (in proposito vedi anche la casistica su "ipertesto" - i percorsi della tutela Infortuni e malattie professionali - www.inca.it/ipercorsi).
Da ultimo ci sembra utile evidenziare che, nella legislazione degli altri Paesi europei, la scelta del mezzo di trasporto non condiziona la copertura assicurativa, se non nei limiti di un uso ragionevole di un mezzo adeguato alla necessità dello spostamento.