Dipartimento per i Servizi nel Territorio
Direzione Generale del Personale della Scuola e dell'Amministrazione
Circolare Ministeriale 25 novembre 2003, n. 87
Prot.n. 598/N
Oggetto: Corte dei Conti - Sezioni Riunite - in sede giurisdizionale - Sentenza n. 14/2003/Q.M. dell'8/6 - 11/7 c.a. - Divieto di cumulo di indennità integrativa speciale
Il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti ha rimesso, per dovuta conoscenza, la sentenza riportata in oggetto nella quale le Sezioni Riunite del predetto Organo hanno ribadito che, tuttora, in caso di doppio trattamento di pensione non è consentito il cumulo dell'indennità integrativa speciale nel senso che, ove si verifichi la suddetta fattispecie l'interessato ha diritto a percepire l'indennità in argomento sulla seconda pensione esclusivamente nei limiti massimi per ottenere l'integrazione della pensione fino all'importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (minimo Inps).
Ciò posto, pur se a conoscenza che le sentenze relative a quanto sopra affluiscono normalmente all'Inpdap quale Ente responsabile del pagamento delle pensioni ove codesti uffici fossero destinatari di pronunce giurisdizionali di segno contrario all'indirizzo sopra esposto, dovranno procedere ad impugnarle tramite l'Avvocatura Generale dello Stato.
La sentenza in questione è reperibile in "INTERNET" collegandosi su www.google.it e digitando sul motore di ricerca: corte dei conti sezioni riunite - sentenza n. 14 di luglio 2003; dopo la cliccata apparirà la schermata relativa alle sentenze del 2003 e cliccando successivamente su quella che interessa (e, cioè, la sentenza n. 14 in questione) si apre il relativo testo.
IL DIRETTORE GENERALE
(Dr. G. Cosentino)
CORTE DEI CONTI A SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE
Con ordinanza, recante i numeri da 09 a 023/2003, depositata il 13 febbraio 2003 la Sezione giurisdizionale per la Puglia, in composizione monocratica, ha trasmesso gli atti dei giudizi pensionistici indicati in epigrafe a queste Sezioni Riunite affinchè si pronuncino sul seguente quesito:“se in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensioni è consentito il cumulo delle indennità integrative speciali, oppure il titolare di due pensioni ha diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione soltanto nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (cd. minimo I.N.P.S.).”
Il giudice remittente osserva che la questione ha trovato diversa soluzione dinanzi al giudice contabile. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, va riconosciuto il diritto alla indennità integrativa speciale su entrambi i trattamenti pensionistici goduti, fatti salvi gli eventuali effetti della prescrizione; menziona, al riguardo, pronunce rese dalla Sezione III centrale (21 marzo 2002, n. 106) e dalla Sezione giur. Toscana (7 marzo 2002, n. 155). A tale opzione interpretativa si contrappone altro orientamento secondo cui, sulla scorta di diverse pronunce della Corte costituzionale che riguardano la fruizione di più pensioni), permane il divieto di cumulo delle i.i.s., con salvezza del minimo I.N.P.S.; menziona, in proposito pronunce rese dalla Sezione II centrale (18 luglio 2002, n. 262) e dalla Sezione giur. Sardegna (29 gennaio 2002, n. 104). Rileva, quindi, che si tratta di un contrasto giurisprudenziale di notevole rilievo su una questione di frequente applicazione.
Con memoria depositata il 5 gennaio 2003 il Procuratore Generale ha effettuato un ampio excursus della disciplina in materia di i.i.s. in caso di cumulo di pensione più retribuzione ed in ipotesi di cumulo di pensioni, dando atto di tutte le pronunce rese in materia dalla Corte costituzionale, nonché delle pronunce di queste Sezioni Riunite su questioni di massima concernenti l’ipotesi del cumulo di pensione e retribuzione. Ha, quindi, evidenziato che il giudice delle leggi ha sempre tenuto ferma la distinzione tra la disciplina concernente il cumulo di due pensioni e quella relativa al cumulo di una pensione con il trattamento di attività: nella prima ipotesi (art. 99, 2° comma, D.P.R. n. 1092 del 1973 e analoghe disposizioni) il divieto di cumulo delle i.i.s. è stato temperato con la salvezza dell’importo corrispondente al minimo I.N.P.S. (sentenze n. 172/91, 307/93, 494/93, 376/94); nella seconda ipotesi (art. 99, 5° comma, D.P.R. n. 1092 del 1973 e analoghe disposizioni), la Corte costituzionale si è pronunciata per l’illegittimità della norma che prescriveva la sospensione dell’indennità “qualunque sia l’ammontare della retribuzione percepita” (sentenze 566/89, 204/92, 376/94). Evidenzia, inoltre, il P.G. che – nonostante gli interventi demolitori ed additivi della Corte costituzionale – nessuna modifica è stata apportata dal legislatore che si è limitato a conglobare l’indennità integrativa speciale nelle nuove pensioni con effetto dal gennaio 1995. Rileva, altresì, che le pronunce rese dalla Corte costituzionale nel 2000 (sentenza n. 516 ed ordinanza n. 517) – diversamente da quanto sembra ritenere parte della giurisprudenza – non hanno fatto che confermare l’assetto normativo risultante dalle precedenti pronunce di incostituzionalità. Ritiene, in definitiva, che si debba dare risposta negativa al primo quesito ed affermativa al secondo.
Per i ricorrenti si è costituito l’Avv. Paolo Guerra con memoria depositata il 6 giugno 2003, nella quale deduce l’inammissibilità della questione sotto due profili. Innanzitutto, la questione sarebbe inammissibile perché sollevata d’ufficio da un giudice di primo grado senza che le parti siano state interpellate sul punto per esprimere consenso o dissenso; rileva, al riguardo, che deve considerarsi che si tratta di questione di diritto su cui è ammesso l’appello e che deve ritenersi tuttora vigente il precetto contenuto nell’art. 4 della legge n. 161 del 1953, secondo il quale le parti debbono preventivamente esprimere il loro consenso per la deferibilità delle questioni alle Sezioni Riunite quando i relativi giudizi siano in primo grado e si tratti di materia appellabile. Evidenzia, inoltre, che non vi è un effettivo contrasto tra le sentenze emesse dalle Sezioni III e II centrali. Osserva, al riguardo, che all’orientamento manifestato dalla Sezione III favorevole al cumulo della i.i.s. anche in ipotesi di due pensioni si sono adeguate tutte le Sezioni regionali con esclusione dell’Umbria; mentre non può essere ritenuta rilevante l’unica sentenza apparentemente contraria resa dalla Sezione II che, tra l’altro, non ha tenuto conto delle pronunce della Corte costituzionale n. 516 e n. 517 del 2000; tale sentenza, in effetti, afferma che il limite del cosiddetto minimo I.N.P.S. va riferito non al complesso “seconda pensione più seconda i.i.s.” ma alla sola “seconda indennità integrativa speciale”, venendo in sostanza a vanificare l’affermazione sulla perdurante sussistenza del divieto di cumulo della i.i.s.
Nel merito, premessa un’ampia ricostruzione delle pronunce costituzionali in materia, osserva sostanzialmente che anche le sentenze emesse sulle norme riguardanti la i.i.s. in caso di due pensioni hanno natura ablatoria, come sarebbe confermato dalla più recente sentenza n. 516 del 2000. Rileva, al riguardo, la disparità di trattamento che si verificherebbe, ad esempio in Sicilia, ove il titolare di due pensioni pubbliche di cui una statale e l’altra regionale dovrebbe essere trattato in modo più favorevole rispetto al titolare di due pensioni statali. Chiede in definitiva che, nel merito, sia confermata la giurisprudenza della III Sezione Centrale favorevole al cumulo della indennità integrativa speciale su plurime pensioni.
Con memoria depositata il 6 giugno 2003 si è costituito in giudizio l'I.N.P.D.A.P. che, premessa una ricostruzione della normativa come risultante dalle sentenze della Corte costituzionale, ha chiesto di volere dichiarare sussistente – nell’ipotesi di più pensioni – il divieto di cumulo della i.i.s. ovvero, in subordine, di ritenere sussistente il diritto alla i.i.s. sulla seconda pensione nei limiti necessari per integrare la pensione fino all’importo del c.d. minimo I.N.P.S.
All’udienza del 18 giugno 2003 l’Avv. Piera Messina, in rappresentanza dell'I.N.P.D.A.P., ha depositato l’ordinanza della Corte costituzionale n. 179 del 2003; ha, quindi, confermato le conclusioni rassegnato con l’atto scritto richiamando le sentenze rese in materia dal giudice delle leggi, con particolare riguardo alla n. 494 del 1993, nonché alle pronunce di queste Sezioni Riunite.
L’Avv. Paolo Guerra, per i ricorrenti, ha innanzitutto precisato che l’eccezione di inammissibilità della questione di massima si articola, in realtà, su quattro motivi: 1) in primo luogo, andrebbe rilevata la irritualità del deferimento posto in essere con un’unica ordinanza emessa su una pluralità di giudizi discussi in udienze diverse e, quindi, non previamente riuniti; rileva, in proposito, che il deferimento può essere ritenuto rituale solo nei riguardi della prima causa discussa il 5 dicembre 2002, mentre per le altre, eventualmente, il giudice di primo grado avrebbe dovuto procedere alla sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c.; 2) ulteriore motivo di inammissibilità risiederebbe nel fatto che le parti non hanno manifestato il consenso al deferimento; ribadisce, in proposito, le considerazioni svolte nella memoria scritta, evidenziando che non può essere condiviso il più recente orientamento manifestato dalle Sezioni Riunite sulla non necessità del consenso; e ciò tenuto conto che i ricorrenti sarebbero vincolati dalla pronuncia resa sulla questione di massima sia in prime cure che in appello perdendo, in tal modo, sostanzialmente, il secondo grado di giudizio; in definitiva, dovrebbe ritenersi che una questione di massima possa essere deferita solo dal giudice d’appello o, eccezionalmente, dal giudice di primo grado quando vi sia il consenso delle parti; 3) mancherebbe, inoltre, il contrasto giurisprudenziale che legittima il deferimento di una questione di massima. Evidenzia, al riguardo, che la Sezione III centrale ha emesso soltanto sentenze favorevoli al cumulo della indennità integrativa speciale anche in ipotesi di più pensioni, mentre in senso solo apparentemente contrario si sarebbe espressa con un’unica sentenza la Sezione II; sentenza che – come è chiaramente detto nella relativa pronuncia di interpretazione – ha affermato che sulla seconda pensione spetta l’indennità integrativa speciale nella misura corrispondente al minimo I.N.P.S. Deposita numerose sentenze emesse dalle diverse Sezioni della Corte tutte nel senso favorevole al cumulo della i.i.s.; 4) mancando il contrasto giurisprudenziale, non può ritenersi che le Sezioni Riunite possano spingersi fino a ricoprire funzioni di supplenza, dovendo soltanto garantire l’uniforme interpretazione della legge.
Nel merito l’Avv. Guerra ha ripercorso le motivazioni esposte in memoria, evidenziando in particolare che: a) la Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 438 del 1998, ha affermato che non è consentito alla stessa Corte fornire interpretazioni autentiche o pronunciare correzioni rispetto alle proprie sentenze; ha, peraltro, rilevato che le norme recate in materia di i.i.s. dalla legge del 1959 sono state abrogate dal D.P.R. n. 1092 del 1973 e, a sua volta, detto D.P.R. è stato colpito da declaratoria di incostituzionalità “in parte qua”; b) tale ultimo riferimento (“in parte qua”) non vuole significare che le sentenze di incostituzionalità abbiano avuto un effetto diverso dal mero annullamento delle norme; ed, infatti, nell’ordinanza n. 517 del 2000 si parla di mera declaratoria di illegittimità costituzionale senza ripetere la formula “in parte qua”; c) va, quindi, riconosciuto – in conformità alla consolidata giurisprudenza – che non esiste più il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale neppure in ipotesi di più pensioni; d) lo stesso I.N.P.D.A.P., con circolare emessa nel 2001, ha impartito disposizioni nel senso che l’appello venga limitato solo ai casi in cui non dovesse essere accolta l’eccezione di prescrizione.
Il P.M. ha evidenziato, innanzitutto, che la questione di massima deve essere dichiarata ammissibile; e ciò in quanto: 1) secondo l’ormai consolidato orientamento delle Sezioni Riunite non occorre il consenso delle parti neppure quando il deferimento sia disposto da un giudice di primo grado; 2) non vi era alcun obbligo del giudice di primo grado di procedere alla sospensione dei giudizi ai sensi dell’art. 295 c.p.c.; 3) il contrasto giurisprudenziale esiste effettivamente come è dimostrato dalle massime reperibili nelle banche dati.
Nel merito ha confermato le conclusioni rassegnate in memoria, evidenziando che: a) le ordinanze della Corte costituzionale non hanno efficacia generale, potendo da esse desumersi soltanto un’interpretazione autorevole ma non vincolante; b) nessun elemento contrario alla sussistenza del divieto si rinviene nella sentenza n. 516 del 2000, che è di mero annullamento solo perché la Corte costituzionale non aveva punti normativi di riferimento da applicare; c) in sostanza, nell’ipotesi di due pensioni, sono state emesse sentenze additive che hanno introdotto in questa ipotesi la salvaguardia del minimo I.N.P.S.; d) anche se può ventilarsi una disparità di trattamento rispetto al titolare di pensione più retribuzione, il giudice non può disapplicare le nome vigenti come emendate dalla Corte costituzionale, potendo soltanto sollevare una nuova eccezione di incostituzionalità.
In replica, l’Avv. Guerra ha rilevato che – ad eccezione della sentenza n. 172 del 1991 – le altre pronunce in materia sono ablatorie, e non additive. Non esiste, pertanto, una norma su cui possa essere deferita una questione di incostituzionalità. Richiama, al riguardo, la recente ordinanza con la quale è stata dichiarata inammissibile – per difetto di rilevanza – la questione sollevata dalla Sezione d’appello siciliana. Deposita, infine, la sentenza resa dalla Sezione II centrale sul giudizio di interpretazione.
Il P.M., in replica, ha ulteriormente confermato le conclusioni già rassegnate nell’atto scritto.
1a. Procedendo all’esame della eccezione di inammissibilità, si osserva che l’eccezione stessa è stata articolata in diversi motivi, il primo dei quali fa leva sulla dedotta irritualità del deferimento posto in essere con un’unica ordinanza emessa su una pluralità di giudizi non previamente riuniti.
Al riguardo osservano queste Sezioni Riunite che, in effetti, il provvedimento di riunione delle cause appare assunto in forma anomala, essendo stato adottato dal giudice di primo grado - contestualmente all’ordinanza di remissione della questione di massima - relativamente a giudizi discussi in udienze svoltesi in date diverse. Si tratta, peraltro, di una mera irritualità che non determina alcun vizio dell’ordinanza che sia censurabile in questa sede, tenuto conto che – secondo costante giurisprudenza – la riunione di più procedimenti pendenti dinanzi al medesimo ufficio giudiziario è insindacabile, essendo rimessa al potere esclusivo del giudice di merito (cfr., tra l’altro, Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 2001, n. 2461).
1b. Circa il secondo profilo di inammissibilità, ritengono queste Sezioni Riunite di aderire all’orientamento ormai consolidato secondo cui le questioni di massima possono essere deferite d’ufficio anche dalle Sezioni giurisdizionali di primo grado senza che sia necessario il consenso delle parti (cfr., ex plurimis, SS.RR. 16 febbraio 1998; n. 7/98/QM; 24 settembre 1998, n. 21/98/QM; 17 marzo 1999, n. 8/99/QM; 16 luglio 1999, n. 21/99/QM).
Giova, al riguardo, ribadire che, dopo l’entrata in vigore della legge n. 19 del 1994, deve ritenersi implicitamente abrogata la disposizione recata dall’art. 4, comma 3, della legge n. 161 del 1953, secondo cui “per i giudizi per i quali è ammesso l’appello alle Sezioni Riunite … il deferimento … è subordinato al consenso delle parti”; e ciò in quanto, essendo venuta meno (salvo che per ipotesi ad esaurimento) la funzione d’appello delle Sezioni Riunite, è di conseguenza venuta meno la ratio stessa della disposizione recata dal menzionato art. 4, essendo chiaramente volta ad evitare che le Sezioni Riunite potessero conoscere della causa in sede di risoluzione del contrasto giurisprudenziale o della questione di massima e, poi, come giudice di appello. Del resto, il deferimento da parte del giudice di primo grado non pregiudica in alcun modo la parte, tenuto conto che – come reiteratamente affermato da queste Sezioni Riunite - la pronuncia emessa su questione di massima vincola soltanto il giudice rimettente con conseguente integrità dei poteri decisori del giudice d’appello e, quindi, con salvezza del diritto al secondo grado di giudizio. A ciò si aggiunga che il deferimento di una questione di massima non dà luogo alla definizione del giudizio da parte delle Sezioni Riunite, che decidono solo relativamente al punto di diritto oggetto della questione, restando impregiudicate le molteplici altre questioni in fatto e in diritto che possono essere rilevanti per la decisione della causa.
Di tale ultima notazione si ha diretta conferma proprio nei giudizi che hanno dato luogo alla questione di massima di cui si discute, ove – oltre alla decisione sull’eccezione di prescrizione sollevata dalla controparte – dovranno essere valutati, previ i dovuti accertamenti in fatto sui trattamenti pensionistici intestati ai ricorrenti, gli effetti del cosiddetto conglobamento della indennità integrativa speciale nella pensione disposto dall’art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994.
Anche sotto tale profilo, pertanto, la questione di massima va ritenuta ammissibile.
1c. Rilevano, inoltre, queste Sezioni Riunite che non può fondatamente dubitarsi che sussista un contrasto giurisprudenziale che legittimi il deferimento della questione di massima sulla sussistenza o meno del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensione.
Al riguardo va, innanzitutto, considerato che - se è indubitabile che nell’ultimo periodo si sia manifestato in modo prevalente (sia in primo grado che in appello) l’orientamento favorevole alla cumulabilità della i.i.s. anche in ipotesi di due pensioni (cfr., tra l’altro, Sez. III centrale 6 febbraio 2001 n. 26, 28 marzo 2001 n. 66, 21 marzo 2002 n. 106; Sez. Marche 23 febbraio 2000 n. 2873; Sez. Lombardia 3 dicembre 2001 n. 1775; Sez. Toscana 23 aprile 2002 n. 309) - è, però, altrettanto certo che fino alla sentenza n. 2873 del 23 febbraio 2000 emessa dalla Sezione giurisdizionale per le Marche è stato pacificamente applicato (sia in primo grado che in appello) il diverso principio secondo cui, in ipotesi di due pensioni, sussiste il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale, fermo restando che il secondo trattamento pensionistico decurtato della i.i.s. non può essere inferiore al trattamento minimo erogato dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti (cfr., tra l’altro, Sez. III centrale 23 aprile 1993 n. 65 e 15 aprile 1997 n. 131; Sez. II centrale 11 aprile 1997 n. 38 e 16 luglio 1997; Sez. Lazio 14 dicembre 1994 n. 336; Sez. Sicilia 13 aprile 1995 n. 76; Sez. Molise 29 giugno 1995 n. 72; Sez. Toscana 28 ottobre 1996 n. 527).
Inoltre, anche nell’ultimo periodo non sono mancate voci dissenzienti rispetto all’indirizzo favorevole al cumulo della indennità integrativa speciale; basti rammentare, al riguardo, che proprio la sentenza della Sezione giurisdizionale Marche, al cui orientamento ha aderito la Sezione III centrale, è stata modificata dalla Sezione II con la sentenza 18 luglio 2002, n. 262, ove è stato affermato il principio - rimasto finora isolato - secondo cui in caso di due pensioni, pur essendo vietato il cumulo della indennità integrativa speciale, va comunque fatto salvo l’importo della i.i.s. pari alla misura del trattamento minimo I.N.P.S. (vedi al riguardo anche la sentenza emessa dalla Sez. II, su ricorso di interpretazione, n. 231 del 12 giugno 2003).
A ciò si aggiunga che un orientamento quanto meno dubitativo è stato manifestato dalla Sezione d’appello siciliana che – con ordinanza del 12 marzo 2002 - ha nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, 2° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973, proprio nel presupposto che la disposizione preveda tuttora il divieto di cumulo della i.i.s. su due pensioni, sia pur con la salvezza del minimo I.N.P.S. (questione che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile, per difetto di rilevanza, con ordinanza n. 179 del 2003); altrettanto è a dirsi per la stessa Sezione III che, con sentenza 13 maggio 2003 n. 212, ha recentemente sospeso una decisione di merito in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione rimessa dalla Sezione d’appello siciliana.
Posta la sussistenza del contrasto giurisprudenziale, la questione di massima va dichiarata – anche sotto tale profilo - ammissibile, restando assorbito l’ultimo motivo che fa leva sul fatto che, in assenza di contrasto, le Sezioni Riunite non potrebbero spingersi fino a ricoprire funzioni sostitutive o di supplenza.
2. Entrando nel merito della questione di massima, va innanzitutto rammentato che, fino alla sentenza n. 2873 del 23 febbraio 2000 emessa dalla Sezione giurisdizionale per le Marche, è stato pacificamente applicato il principio secondo cui, in ipotesi di due pensioni, sussiste il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale, fermo restando che il secondo trattamento pensionistico decurtato della i.i.s. non può, comunque, essere inferiore al trattamento minimo erogato dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti (cosiddetta integrazione al minimo I.N.P.S.).
In sostanza, del tutto pacificamente, si è affermato che le pronunce rese in materia dalla Corte costituzionale (e, cioè, la sentenza n. 172 dell’8-22 aprile 1991, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 17 della legge 21 dicembre 1978 n. 843, nella parte in cui non prevede che anche nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti; e la sentenza n. 494 del 29-31 dicembre 1993, che – con formula del tutto identica alla sentenza del 1991 – ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 99, 2° comma, del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092) sono sentenze “manipolative-additive”, aventi l’effetto di introdurre nelle disposizioni giudicate incostituzionali la disciplina che avrebbe dovuto esserci, affinchè le stesse disposizioni, nel loro complessivo significato, non si ponessero in contrasto con le norme costituzionali di riferimento. In definitiva, si è pacificamente ritenuto che l’art. 17, 1° comma, della legge n. 843 del 1978 e l’art. 99, 2° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973 siano stati integrati con norme “aggiunte” dalla Corte costituzionale, nel senso che per i titolari di due pensioni, ai quali l’indennità integrativa speciale compete, comunque, ad un solo titolo, il secondo trattamento pensionistico decurtato di tale indennità non può essere inferiore al trattamento minimo erogato dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
E che si trattasse di orientamento pacifico è dimostrato anche dal fatto che nessuna questione di massima è stata mai deferita sul punto, diversamente da quanto è avvenuto per la diversa ipotesi del cumulo dell’indennità integrativa speciale su pensione e retribuzione.
Il nuovo orientamento favorevole al cumulo della i.i.s. anche in ipotesi di due pensioni si fonda, in particolare, sulle seguenti considerazioni.
Si sostiene, innanzitutto, che la norma “aggiunta” all’art. 17 della legge n. 843 del 1978 dalla sentenza costituzionale n. 172 del 1991 (e, cioè, che “anche nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”) sarebbe stata travolta per effetto della successiva sentenza n. 204 del 1992, con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dello stesso art. 17, 1° comma, della legge 843 del 1978 e dell’art. 15 del d.l. n. 663 del 1979 conv. nella legge n. 33 del 1980 “nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l’esclusione e il congelamento dell’indennità integrativa speciale”. Si afferma, in definitiva, che la sentenza n. 204 del 1992 – che è, senza dubbio, di mero annullamento – avrebbe avuto l’effetto di espungere dall’ordinamento l’intero 1° comma dell’art. 17 della legge n. 843/1978.
Si rileva, inoltre, che tenuto conto dell’effetto ablatorio sopra indicato, anche la sentenza n. 494 del 1993 di declaratoria di incostituzionalità dell’art. 99, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973 (nella parte in cui non prevede che nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti) dovrebbe essere intesa, non come sentenza additiva, ma quale sentenza di mero annullamento, con l’effetto del venir meno tout court del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale anche nella ipotesi di due pensioni.
Tale esito interpretativo sarebbe confermato dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 438 del 1998 e, soprattutto, dalla sentenza n. 516 del 2000, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della Tab. O, lett. B, 3° comma, della legge della Regione siciliana n. 41 del 1985 “nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo della indennità di contingenza ed indennità similari”. Si evidenzia, in particolare, che la sentenza si riferisce sia al caso di pensione più retribuzione che a quello di pensione più pensione, tenuto conto che la norma colpita da declaratoria di incostituzionalità riguardava entrambe le ipotesi e che, per entrambe le ipotesi, l’effetto è quello di aver fatto venir meno il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale. Si osserva, altresì, che nelle premesse della sentenza la Corte costituzionale avrebbe fornito una chiara lettura delle precedenti pronunce in materia, nel senso che depone per l’abolizione generalizzata del divieto di cumulo. Ulteriore conferma deriverebbe dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 517 del 2000, con la quale è stata dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 7, della legge 27 maggio 1959, n. 324, e 130, ultimo comma, del T.U. n. 1092 del 1973. Si evidenzia, al riguardo, che il giudice delle leggi, in quella pronuncia, afferma che non esiste più nell’ordinamento un divieto generalizzato di cumulo tra due indennità integrative speciali; e ciò con espressioni che riguarderebbero sia il caso di pensione più retribuzione sia il caso di doppia pensione.
In realtà, ritengono queste Sezioni Riunite che l’orientamento sopra descritto non possa essere condiviso e che debba, invece, affermarsi la sussistenza del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale sulle due pensioni, fermo restando che il secondo trattamento pensionistico decurtato della i.i.s. non può essere inferiore al trattamento minimo erogato dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti. E ciò per tutto quanto di seguito si evidenzia.
Nessuno dubita che la prima sentenza in materia (la n. 172 del 1991) – diversamente dalla n. 566 del 1989 sull’ipotesi di cumulo della indennità integrativa speciale su pensione e retribuzione – sia una tipica sentenza additiva. In effetti la Corte costituzionale, valutando l’art. 17 della legge n. 843 del 1978, lo ha ritenuto illegittimo in quanto mancante della previsione di salvaguardia del cosiddetto minimo I.N.P.S. per l’ipotesi del titolare di due pensioni; salvaguardia che era, invece, prevista per il titolare di pensione che presti opera retribuita presso terzi. Dopo la sentenza n. 172 del 1991, quindi, l’art. 17, 1° comma, della legge n. 843 del 1978 conteneva due disposizioni perfettamente distinguibili: l’una - riguardante l’indennità integrativa speciale nell’ipotesi di pensione più retribuzione - introdotta direttamente dal legislatore; e l’altra - disciplinante l’indennità integrativa speciale nell’ipotesi di pensione più pensione - che il legislatore avrebbe dovuto prevedere fin dall’origine per evitare la pronuncia di incostituzionalità e che il giudice delle leggi ha “aggiunto” affinchè la norma recuperasse la sua conformità ai principi costituzionali.
Ciò posto, non può ritenersi che la sentenza n. 204 del 1992 abbia travolto l’intero primo comma dell’art. 17 della legge n. 843 del 1978. Ed, invero, la declaratoria di incostituzionalità contenuta in detta sentenza riguarda espressamente una parte del ripetuto art. 17; e ciò si evince letteralmente dal dispositivo della pronuncia, ove è dichiarata l’illegittimità di tale articolo “nella parte in cui non determina(no) la misura della retribuzione, oltre la quale diventa(no) operante(i) l’esclusione (e il congelamento) della indennità integrativa speciale”. Pertanto, solo relativamente a tale parte (riguardante l’ipotesi del pensionato che presta opera retribuita) la sentenza n. 204 del 1992 ha un effetto di annullamento, restando ferma la disposizione “aggiunta” con la sentenza n. 172 del 1991 sull’ipotesi di doppia pensione. Del resto, la sentenza di cui si discute è volta palesemente ad uniformare la normativa in materia di cumulo della i.i.s. in caso di pensione più retribuzione percepita alle dipendenze di terzi, recata dall’art. 17 della legge n. 843 del 1978, a quanto stabilito dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 566 del 1989 sull’art. 99, 5° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973 per l’ipotesi di i.i.s. su pensione e retribuzione percepita alle dipendenze dello Stato o di altri enti pubblici.
Se la sentenza n. 172 del 1991 è pacificamente additiva, non si vede come possa non qualificarsi parimenti additiva la sentenza n. 494 del 1993 con la quale è stato dichiarato illegittimo l’art. 99, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973. In effetti, il dispositivo è identico a quello utilizzato nella sentenza n. 172/1991: l’art. 99, 2° comma, è dichiarato incostituzionale “nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di due pensioni, pur restando vietato il cumulo delle indennità integrative speciali, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti”. E, nella motivazione, la Corte costituzionale evidenzia che si tratta di questione identica a quella decisa con la sentenza n. 172 del 1991 e con la sentenza n. 307 del 1993 riguardante l’art. 16 della legge n. 773 del 1982 sull’ipotesi di doppia pensione di cui una a carico della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza dei geometri. Quindi, la sentenza n. 494 del 1993 ha avuto l’effetto di aggiungere all’art. 99, 2° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973 la salvaguardia del trattamento minimo I.N.P.S. nei confronti del titolare di due pensioni, fermo restando il divieto di cumulo della i.i.s. previsto dallo stesso art. 99, 2° comma, nella sua originaria formulazione.
In sostanza, è fuor di dubbio che la Corte costituzionale abbia tenuto ben distinta l’ipotesi di cumulo della i.i.s. su pensione e retribuzione da quella della doppia pensione, emettendo nel primo caso sentenze di mero annullamento e, nel secondo caso, sentenze additive che hanno avuto l’effetto di estendere alle disposizioni recanti il divieto di cumulo della i.i.s. nei confronti del titolare di due pensioni il principio della salvaguardia del minimo I.N.P.S. contenuto nell’art. 17, 1° comma, della legge n. 843 del 1978.
Di ciò si ha indiscutibile conferma nella sentenza n. 376 del 1994, concernente l’art. 4 della legge della Regione Sicilia 24 luglio 1978, n. 17. Ed, infatti, esaminando la disposizione che stabiliva il divieto di cumulo di più indennità di contingenza con una norma a valenza generale - essendo espressamente riferita sia al titolare di più pensioni sia al pensionato che svolga attività lavorativa alle dipendenze di altre amministrazioni - il giudice delle leggi ricostruisce analiticamente il percorso che ha condotto alle diverse declaratorie di incostituzionalità in materia di indennità integrativa speciale e, confermando le rationes decidendi cui si era ispirata per la valutazione di analoghe norme statali, formula un dispositivo di illegittimità costituzionale ove vengono nettamente distinte le due ipotesi. E, cioè, “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 … nella parte in cui non prevede che, nei confronti del titolare di più pensioni o assegni vitalizi, ferma restando la spettanza ad un solo titolo dell’indennità di contingenza …, debba comunque farsi salvo l’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, nonchè nella parte in cui, riguardo al pensionato che presta attività retribuita, non determina la misura della retribuzione complessiva oltre la quale diventi operante il divieto di cumulo dell’indennità di contingenza relativa al trattamento pensionistico con le indennità dirette all’adeguamento del costo della vita del trattamento di attività”.
Appare palese la valenza di tale pronuncia, che – scindendo nettamente le ipotesi disciplinate dall’art. 4 della legge regionale n. 17 del 1978 – annulla la norma sul divieto di cumulo dell’indennità di contingenza per il pensionato che presta opera retribuita ed aggiunge la salvaguardia del minimo I.N.P.S. alla norma che dispone identico divieto per il titolare di più pensioni. E’ chiaro, in sostanza, che la Corte costituzionale – pur in presenza di una disposizione che non distingueva tra le due ipotesi – ha inteso confermare l’indirizzo fino ad allora seguito di una disciplina differenziata per il caso della pensione più retribuzione rispetto a quello della doppia pensione. E ciò si giustifica, innanzitutto, con il fatto che la salvaguardia del minimo I.N.P.S. era stata introdotta dal legislatore del 1978 (all’art. 17, 1° comma, della legge n . 843) e, quindi, la Corte costituzionale ha reperito nell’ordinamento vigente il parametro da applicare nell’ipotesi di duplice pensione; in ogni caso, la distinzione è in linea con quanto reiteratamente affermato dalla stessa Corte costituzionale sulla diversa tutela del pensionato rispetto al lavoratore con riguardo ai principi contenuti, rispettivamente, negli artt. 38 e 36 della Costituzione.
Nessun elemento contrario all’orientamento fin qui enunciato emerge dall’ordinanza n. 438 del 1998, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di incostituzionalità sollevate dalla Sezione siciliana nei riguardi degli artt. 1, 4° comma, e 2, 6° e 7° comma, della legge n. 324 del 1959. In tale pronuncia si rinvengono, infatti, valutazioni in ordine alla non vigenza delle norme contestate per essere state abrogate dall’art. 254 del D.P.R. n. 1092 del 1973, senza che venga fatto cenno alcuno alla natura asseritamente non additiva delle sentenze emesse in materia di i.i.s. su due pensioni. E’ bene rammentare, del resto, che l’ordinanza è stata emessa su una questione di illegittimità costituzionale riguardante l’ipotesi del pensionato che presta opera retribuita e, quindi, anche sotto tale profilo non può offrire spunti sulla diversa questione della doppia pensione. In ogni caso, il richiamo al secondo ed al quinto comma dell’art. 99 del D.P.R. n. 1092 del 1973 è chiaramente inteso ad evidenziare che, in realtà, le norme presuntivamente incostituzionali, erano state espunte dall’ordinamento “siccome trasfuse in altra norma, la quale è già stata colpita da declaratoria di incostituzionalità in parte qua”.
Diversa e più articolata è la problematica derivante dalla sentenza n. 516 del 2000 che, ad un primo approssimativo esame, potrebbe offrire qualche spunto alla tesi del venir meno del divieto di cumulo della i.i.s. in entrambe le ipotesi di pensione più retribuzione e di doppia pensione, almeno per quanto concerne i trattamenti pensionistici che traggono titolo dalla normativa siciliana. In effetti, la sentenza – che è di mero annullamento – riguarda la disposizione recata dalla Tab. O, lett. B, 3° comma, della legge della Regione siciliana n. 41 del 1985 che sanciva il divieto di cumulo della indennità di contingenza sia nel caso di pensione più retribuzione che in quello di pensione più pensione; e la disposizione è stata dichiarata illegittima “nella parte in cui non determina la misura del trattamento complessivo oltre il quale diventi operante, per i titolari di pensioni ed assegni vitalizi, il divieto di cumulo della indennità di contingenza ed indennità similari”.
Sul punto va, innanzitutto, evidenziato che la norma colpita da declaratoria di incostituzionalità riproduceva pedissequamente la disposizione recata dall’art. 4 della legge siciliana n. 17 del 1978, oggetto della sentenza costituzionale n. 376 del 1994 (“al titolare di più pensioni o assegni vitalizi l’indennità di contingenza o comunque ogni maggiorazione dipendente dall’adeguamento al costo della vita compete ad un solo titolo e non è cumulabile con altre indennità derivanti da forme di adeguamento al costo della vita, connesse a trattamenti di attività di servizio o di quiescenza erogati da altri enti o amministrazioni, salvo il diritto di opzione per il trattamento più favorevole”). Non è inutile rilevare che tale riproduzione trova la sua ragion d’essere nel fatto che la legge reg. n. 17 del 1978 contiene norme per l’adeguamento delle retribuzioni al costo della vita, mentre la legge reg. n. 41 del 1985, nel dettare nuove norme per il personale dell’amministrazione regionale, stabilisce all’art. 34 – mediante rinvio alla Tabella O annessa alla stessa legge – il trattamento economico fondamentale spettante a detto personale; ed, appunto, nella Tabella O, alla lettera B, 3° comma, è ripetuta la norma già contenuta nell’art. 4 della precedente legge n. 17/1978 sulla non cumulabilità della indennità di contingenza; norma che, ove fosse stata richiamata mediante rinvio all’art. 4, avrebbe subito automaticamente le sorti di questo anche relativamente agli effetti di annullamento ed additivi prodotti dalla sentenza n. 376 del 1994. In ogni caso, trattandosi di disposizione ripetitiva di altra dichiarata incostituzionale, su di essa il giudice delle leggi avrebbe potuto estendere d’ufficio il sindacato di costituzionalità – ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 - con l’effetto di estendere alla norma contenuta nella legge del 1985 il duplice dispositivo recato dalla sentenza n. 376 del 1994 nei riguardi dell’art. 4 della legge reg. n. 17/1978.
Ciò posto, è significativo rilevare che nelle ordinanze di remissione si dà atto che la norma del 1985 è tuttora vigente ed applicabile nonostante le declaratorie di incostituzionalità che hanno riguardato sia l’art. 99, commi 2 e 5, del D.P.R. n. 1092 del 1973 sia l’art. 4 della legge reg. n. 17/1978. E tale assunto viene condiviso dalla Corte costituzionale che, nel preambolo della sentenza n. 516 del 2000, afferma trattarsi di “disposizione formalmente distinta da quelle su cui è già intervenuta una dichiarazione di illegittimità costituzionale, per cui anche se ha un contenuto equivalente, deve ritenersi efficace ed operante fino a che non sia abrogata o dichiarata costituzionalmente illegittima”. Quindi, il giudice delle leggi – nel presupposto dell’attuale vigenza di una norma che riproduce il divieto generalizzato di cumulo della indennità di contingenza già ritenuto illegittimo con sentenze di annullamento o con sentenze additive – dichiara l’illegittimità costituzionale della norma stessa con la formula tipica dell’annullamento della disposizione incostituzionale.
La sentenza n. 516 del 2000 determina, pertanto, il venir meno della efficacia della disposizione recata dalla Tab. O, lett. B, 3° comma, della legge della Regione siciliana n. 41 del 1985, con l’effetto che nell’ordinamento giuridico della Sicilia torna ad acquistare forza espansiva e cogente la disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 17 del 1978, come “manipolata” - relativamente all’ipotesi della doppia pensione - dalla sentenza costituzionale n. 376 del 1994; accanto a tale norma di settore mantengono la loro inalterata efficacia l’art. 17, 1° comma, della legge n. 843 del 1978 come “manipolato” dalla sentenza costituzionale n. 172 del 1991 e l’art. 99, 2° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973 come “manipolato” dalla sentenza costituzionale n. 494 del 1993. Quindi, a ben riflettere, la sentenza n. 516 del 2000, colpendo con declaratoria di incostituzionalità la norma del 1985, non fa che confermare - anche per le posizioni previdenziali traenti titolo dalla normativa siciliana - la vigenza del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale nell’ipotesi di due pensioni, integrato dalla salvaguardia del trattamento minimo erogato dal Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
Pochi cenni sono sufficienti per evidenziare che il quadro normativo sopra descritto non è posto in dubbio dall’ordinanza n. 517 del 2000, ove la Corte costituzionale – nuovamente adita sulla questione del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale su pensione e retribuzione che si assumeva tuttora vigente ai sensi dell’art. 2, 7° comma, della legge n. 324 del 1959 e dell’art. 130, ultimo comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973 – torna a ribadire (come già nell’ordinanza n. 438 del 1998) che a seguito delle sentenze n. 566 del 1989 e n. 232 (rectius 204) del 1992 è venuto meno il divieto generalizzato di cumulo della i.i.s. “contenuto nelle norme statali che prevedevano tale divieto, ma non fissavano un limite al di sotto del quale tale divieto non poteva essere operante”; ed evidenzia nuovamente (come già nell’ordinanza n. 438 del 1998) che la disposizione recata dall’art. 2, 7° comma, della legge n. 324 del 1959 è da ritenersi espunta dal sistema per abrogazione ai sensi dell’art. 254 del D.P.R. n. 1092 del 1973, nonché a seguito di sostanziale trasfusione in altra norma (art. 99, commi 2° e 5°, dello stesso D.P.R.), contenente disciplina completa sul cumulo della i.i.s., dichiarata poi costituzionalmente illegittima con le sentenze n. 566 del 1989 e n. 494 del 1993.
In particolare, nessun elemento contrario si rinviene nel richiamo alla inesistenza di un divieto generalizzato di cumulo della i.i.s.; e ciò nella considerazione che, in effetti, un divieto di cumulo non esiste più in forma generalizzata essendo venuto meno – in virtù di sentenze di mero annullamento – per l’ipotesi del pensionato che presti opera retribuita ed essendo confermato con la salvaguardia del minimo I.N.P.S. nei riguardi del soggetto che percepisca due pensioni. Né, tanto meno, ha una qualche valenza ermeneutica contraria il riferimento alla declaratoria di incostituzionalità che ha colpito le norme contenute nei commi 2 e 5 dell’art. 99 del D.P.R. n. 1092/1973; al riguardo è sufficiente rilevare che anche le sentenze “additive” (quale quella che ha riguardato il 2° comma dell’art. 99) – non diversamente dalle sentenze di mero annullamento - sono sentenze di accoglimento e, quindi, pronunce con le quali viene dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma deferita. E’, quindi, evidente che il solo richiamo a declaratorie di incostituzionalità non è sufficiente a far ritenere che la Corte costituzionale intendesse dare una nuova chiave di lettura alle pronunce rese in materia di i.i.s. nell’ipotesi di doppia pensione; pronunce che – come si è detto – sono chiaramente ed inequivocabilmente “additive”.
Nessun ulteriore elemento di valutazione può, infine, essere desunto dalla recente ordinanza n. 179 del 2003, che ha dichiarato inammissibili, per difetto di rilevanza, le questioni sollevate dalla Sezione d’appello siciliana sull’art. 99, 2° comma, del D.P.R. n. 1092 del 1973.
In definitiva, per tutte le considerazioni sopra esposte, ritengono queste Sezioni Riunite che in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensione è vietato il cumulo della indennità integrativa speciale; il titolare di due pensioni ha, peraltro, diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
Spetta al giudice di merito valutare gli effetti del cosiddetto conglobamento della indennità integrativa speciale nella pensione disposto dall’art. 15, comma 3, della legge n. 724 del 1994.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, a Sezioni Riunite in sede giurisdizionale,
ammissibile la questione di massima deferita dalla Sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.
1) in ipotesi di fruizione di doppio trattamento di pensione non è consentito il cumulo della indennità integrativa speciale;
2) il titolare di due pensioni ha diritto a percepire la indennità integrativa speciale sulla seconda pensione soltanto nei limiti necessari per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (c.d. minimo I.N.P.S.).
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 18 giugno 2003.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 11 LUGLIO 2003