Circolare
Ministero Funzione pubblica
26 giugno 1992,
n. 90543/7/488
Applicazione degli articoli
22 e 33 della legge quadro
per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone
handicappate (legge 5 febbraio 1992. n. 104).
Criteri illustrativi.
(Gazzetta Ufficiale
-serie generale-n.167 del 171uglio 1992).
Continuano a pervenire da numerose pubbliche amministrazioni
richieste di chiarimenti in ordine alla corretta applicazione di
alcune norme contenute nella legge quadro in materia di tutela
delle persone handicappate approvata di recente dal Parlamento.
Ciò ha determinato la
necessità di un intervento a carattere generale da parte di questo
Dipartimento al fine di consentire una uniforme applicazione della
normativa in questione.
A tal fine, si
forniscono le seguenti precisazioni. Una delle problematiche
sollevate riguarda il
significato che deve
essere riconosciuto alla disposizione contenuta nell'art. 22 della
L. n. 104 citata, la quale stabilisce che «Ai fini dell'assunzione
al lavoro pubblico e privato non è richiesta la certificazione di
sana e robusta costituzione fisica».
La problematica in
discorso verte, in particolare, sulla questione della incidenza, o
meno, della suddetta disposizione su quella prevista dall'art. 2
dello statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al D.P.R.
10.1.1957, n. 3, che pone tra i requisiti generali per l'accesso
nella pubblica amministrazione quello della «idoneità fisica
all'impiego».
Ad avviso di questo
Dipartimento, le due disposizioni sopra richiamate non sembrano
tra loro incompatibili, mancando peraltro nell'art. 22 ogni
disposizione abrogativa del requisito di cui all'art. 2
sopracitato.
Per altro verso l'art.
22 è compreso nella legge di tutela delle persone portatrici di
handicap. Pertanto l'art. 22 deve essere interpretato con
riferimento alla situazione degli stessi portatori di handicap.
Per questi infatti non
sarebbe fondatamente prospettabile una valutazione medico-legale
sulla «sana e robusta costituzione fisica». La presenza
dell’handicap contraddice invero alla sana e robusta cstituzione.
L'art.2 del D.P.R. n. 3 del 1957 dispone nel senso dell'idoneità
fisica quale presupposto per l'assunzione all'impiego. Tale
idoneità costituisce un requisito eterogeneo rispetto a quello
della sana e robusta costituzione.
È comunque fuor di
dubbio che anche per le stesse persone «handicappate» non possa
prescindersi -ai fini del loro accesso ai pubblici impieghi -dal
possesso del requisito generale dell'idoneità all'impiego
prescritto dal predetto art. 2 compatibilmente -si intende -con la
natura dell'handicap.
Questa affermazione è
deducibile anche dall'art. 19 della legge n. 104, che affronta il
problema degli handicappati psichici.
Per quanto concerne poi
le numerose problematiche che pone l'art. 33 della legge in esame,
preordinato alla determinazione delle agevolazioni riconosciute ai
più stretti familiari delle persone handicappate al fine di
garantire loro un'idonea assistenza, si fa presente che alcune di
tali problematiche riguardano, in particolare, il primo comma di
detto art. 33, la cui formulazione è la seguente:
« l. La lavoratrice
madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di
minore con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi
dell'art. 4 comma I, hanno diritto al prolungamento fino a tre
anni del periodo di astensione facoltativa dal lavoro di cui
all'art. 7 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, a condizione che
il bambino non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti
specializzati».
Il primo quesito
riguarda il significato da dare ai termini «lavoratrice» e
«lavoratore» usati dal legislatore con riferimento ai genitori,
anche adottivi del minore handicappato.
L’avviso del
Dipartimento al riguardo è nel senso che il termine lavoratore,
riferito al coniuge del dipendente pubblico, sta a significare
l'espletamento di qualunque tipo di attività lavorativa (lavoro
subordinato, attività commerciale, industriale o professionale,
ecc.).
Si deve quindi dedurre che il beneficio previsto dal suddetto
primo comma non compete qualora uno dei genitori del minore
handicappato non svolga alcuna attività lavorativa e non si trovi
inoltre nell'impossibilità materiale (in quanto -ad esempio -
ricoverato in una struttura sanitaria oppure affetto da una
gravissima malattia) di assistere il minore.
Quanto poi all'entità
del beneficio previsto esso non può che consistere -stante il
richiamo all'art. 7 (primo comma) della legge sulle lavoratrici
madri 30.12.1971, n. 1204- in un periodo di astensione facoltativa
che può giungere, nel massimo, fino a tre anni (prolungamento di
tale astensione fino a tre anni del periodo di sei mesi previsto,
durante il primo anno di vita del bambino, dal richiamato art. 7
in favore di uno dei genitori). Tale periodo -salvo il limite
insuperabile del compimento del terzo anno di vita da parte del
bambino -è suscettibile di frazionamento.
In ogni caso, ai fini
del godimento del beneficio in discorso, il primo comma dell'art.
33 richiede il concorso anche delle seguenti condizioni: a)
esistenza nel minore di un handicap grave accertato ai sensi
dell'art. 4, co. l, della stessa legge n. 104; b) risultanza -in
base ad idonea certificazione (atto di notorietà,
autocertificazione, ecc.. salvo per la pubblica amministrazione la
possibilità di compiere eventuali verifiche) -che il bambino non
sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati.
Si segnala, con
riferimento a quest'ultimo requisito, che l'eventuale difformità
rispetto alla realtà delle dichiarazioni sostitutive o degli atti
notori implica il rischio della commissione del reato di falso.
Per quanto concerne poi
il trattamento giuridico ed economico da riconoscere al dipendente
pubblico in astensione facoltativa dal lavoro quale beneficiario
del primo comma dell'art. 33, la normativa applicabile è la stessa
che disciplina l'istituto dell'astensione facoltativa (articoli 7,
terzo comma, 13, 2° co., e 15, secondo comma, della legge sulle
lavoratrici madri n. 1204 del 1971 ).
Il secondo comma
dell'art. 33 prevede, inoltre, che uno dei genitori, ove ricorrano
le condizioni richieste per poter beneficiare del primo comma, può
usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del
periodo di astensione facoltativa, di due ore di «permesso
giornaliero retribuito» fino al compimento del terzo anno di vita
del bambino.
Tale disposizione, per
la sua linearità, non presenta ovviamente alcuna difficoltà
interpretativa.
Rimane solo da
evidenziare che, ove il rapporto di lavoro del titolare del
beneficio in questione sia a tempo parziale o comunque con orario
di lavoro inferiore alle sei ore giornaliere, il permesso
retribuito -alla stregua del principio desumibile da quanto
previsto dal 1° co. dell'art. 10 della legge n. 1204- è limitato
ad una sola ora giornaliera.
Particolare attenzione
merita invece la disposizione di cui al terzo comma del più volte
citato art. 33, la quale prevede la possibilità per il genitore
del minore handicappato grave, che abbia già compiuto il terzo
anno di vita, (nell'ipotesi in cui l'altro coniuge sia anch'esso
lavoratore), oppure per colui, parente o affine entro il terzo
grado, che assista una persona adulta con handicap grave (non
ricoverata a tempo pieno) e sia con essa convivente, di ottenere
mensilmente fino a tre giorni di permesso non retribuito, fruibili
anche in maniera continuativa.
Stando al contenuto
letterale della norma, tali permessi non possono essere frazionati
in ore, non sono cumulabili con quelli dei mesi successivi non
sono altresì assoggettabili -in mancanza dì una espressa
previsione legislativa -alla disciplina del recupero, ne tanto
meno consentono, in quanto non retribuiti (la non retribuibilità
degli stessi si ricava chiaramente dalla diversa espressione usata
dal legislatore nel terzo comma allorquando ha previsto il caso
del «permesso retribuito»), di essere considerati come congedo
straordinario.
Inoltre, nell'ipotesi
della persona maggiorenne handicappata grave assistita dal parente
o affine entro il terzo grado, condizione sufficiente per ottenere
il beneficio di cui al terzo comma dell'art. 33 è che quest'ultimo,
oltre ad essere ovviamente un lavoratore, abbia anche un rapporto
fiduciario con l'assistito e sia in grado di assolvere i compiti
propri dell'assistenza.
Il quarto comma
dell'art. 33 stabilisce inoltre che, in caso di concessione dei
permessi previsti dai precedenti commi 2 (due ore di permesso
giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita
del bambino, in alternativa all'astensione facoltativa prevista
dal primo comma) e 3 (tre giorni di permesso mensile non
retribuito per il periodo successivo al compimento del terzo anno
di vita del bambino), le assenze dal lavoro che essi determinano,
pur essendo computate nell'anzianità di servizio, incidono
negativamente sul congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità,
limitandone rispettivamente la durata e l'importo.
Lo stesso comma
stabilisce altresì che i predetti permessi sono cumulabili con
quelli previsti dall'art. 7 della legge n. 1204 de11971.
A tale riguardo si
precisa che, poiché le assenze dal lavoro previste dal richiamato
art. 7 della legge n. 1204 riguardano l'intero arco della giornata
lavorativa, e non ne consentono quindi il frazionamento in ore, il
termine «cumulo», usato dal legislatore, ove riferito alla stessa
persona, risulterebbe del tutto improprio, in quanto si verrebbe a
determinare il totale riassorbimento nel beneficio previsto
dall'art. 7 della legge n. 1204 di quello indicato sia dal comma 2
che dal co. 3 dell'art. 33 della legge n.104.
Per «cumulo» non può
pertanto che intendersi la possibilità di attribuire
contemporaneamente i benefici recati dall'art. 33 (commi 2 e 3)
della legge n. 104 e dall'art. 7 della legge n. 104 ai due coniugi
alternativamente, in modo cioè che a ciascuno di essi competa uno
dei benefici in questione.
Quanto sopra presuppone
ovviamente la presenza nel nucleo familiare di un secondo figlio
di età inferiore ai tre anni.
Qualche problema pone,
altresì, l'applicazione della disposizione contenuta nel sesto
comma dell'art. 33, soprattutto nella parte in cui essa prevede la
possibilità per la persona maggiorenne handicappata grave di
usufruire dei permessi di cui ai commi 2e 3.
Stando infatti alla
formulazione letterale della suddetta disposizione, i permessi
retribuiti previsti dal secondo comma -così come quelli di cui al
terzo comma -possono essere concessi all'avente diritto per tutta
la durata del rapporto d'impiego (sia pure con le stesse
limitazioni previste dal comma 4 in ordine al congedo
straordinario e alla tredicesima mensilità), mentre -come innanzi
evidenziato - il permesso retribuito di due ore al giorno previsto
dal comma 2 compete -in alternativa al beneficio di cui al comma 1
-al genitore che assiste il minore handicappato grave, fino al
compimento del terzo anno di vita di quest'ultimo.
Relativamente poi al
diritto, riconosciuto all'handicappato grave dallo stesso sesto
comma, «di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina
al proprio domicilio», è il caso di precisare che trattasi di
diritto da far valere soltanto nell'ambito della medesima
amministrazione o ente di appartenenza.
A quanto finora
evidenziato si ritiene infine opportuno aggiungere che la
normativa recata dall'articolo 33 della legge n. 104 non presenta
alcuna interferenza con le disposizioni recanti benefici nei
confronti dei portatori di handicap, contenute nei decreti
recettivi degli accordi sindacali stipulati per il triennio
1988-1990 in favore del personale appartenente ai vari comparti di
contrattazione pubblica.
Tali disposizioni infatti, riguardando il caso del dipendente che
si sottopone ad un progetto terapeutico destinato al suo recupero,
disciplinano fattispecie diverse. |