La
definizione degli organici docenti ed ata è competenza legislativa
regionale
Sentenza 13/2004
Udienza Pubblica del 17/06/2003
Decisione del 18/12/2003
Deposito del 13/01/2004
Pubblicazione in G. U.
SENTENZA N. 13 ANNO 2004
LA CORTE COSTITUZIONALE
(…)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell'articolo 22, commi 3 e 4, della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002),
promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna notificato il 27
febbraio 2002, depositato l'8 marzo successivo ed iscritto al n.
23 del registro ricorsi 2002.
Visto l'atto di costituzione del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del
17 giugno 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi l'avvocato Giandomenico
Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato
Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. La Regione Emilia-Romagna ha
proposto questione di legittimità costituzionale in via
principale, in riferimento agli articoli 117 e 118, primo comma,
della Costituzione, dell'art. 22, commi 3 e 4, della legge 28
dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002).
Nel ricorso, con il quale sono
impugnate congiuntamente più disposizioni della citata legge n.
448 del 2001, si osserva preliminarmente che lo Stato ha una
riserva di competenza in materia di sistema tributario e
finanziario, ma che l'inserimento nella legge finanziaria di
disposizioni che sono estranee al contenuto tipico della legge non
può costituire un modo per sfuggire al rigido riparto delle
potestà legislative definito dall'art. 117 Cost., il quale impone
allo Stato di esibire sempre un titolo di competenza quando
eserciti la sua funzione legislativa.
Nello specifico, la ricorrente
deduce che il denunciato art. 22, commi 3 e 4, nel porre
disposizioni in materia di organizzazione scolastica con
riferimento alla definizione delle dotazioni organiche del
personale docente e all'orario di lavoro, affida la competenza a
definire le dotazioni organiche a un organo statale di livello
regionale - l'ufficio scolastico regionale - con ciò violando il
principio di sussidiarietà e adeguatezza di cui al primo comma
dell'art. 118 Cost.
Inoltre, in una materia di
competenza concorrente qual è l'istruzione, il legislatore statale
non si atterrebbe alla sola determinazione dei principî
fondamentali, ma interverrebbe con norme organizzative specifiche
attinenti alle dotazioni organiche che non potrebbero essere
considerate semplici norme di razionalizzazione della spesa, ma,
al contrario, previsioni in grado di incidere profondamente
sull'autonomia delle istituzioni scolastiche.
Il comma 4, si argomenta ancora
nel ricorso, impone poi di computare l'impegno dei docenti
esclusivamente sulla base dell'orario d'obbligo, calcolato sulle
ore di lezione frontale, e in tale modo impedirebbe agli istituti
scolastici di mantenere in vita attività sperimentali avviate con
i decreti delegati del 1974 e ancor più valorizzate dall'art. 21
della legge n. 59 del 1997, con il riconoscimento alle istituzioni
scolastiche di un'autonomia che si esprime, in particolare,
tramite i principî di flessibilità e diversificazione dei servizi
scolastici e ciò anche "mediante il superamento dei vincoli in
materia di unità oraria della lezione" (comma 8).
Ad avviso della ricorrente, ne
deriverebbe un grave impoverimento del sistema scolastico ed una
violazione delle attribuzioni regionali, che non potranno
esercitare la loro competenza legislativa concorrente, inserendosi
in un quadro organizzativo già pregiudicato, e subiranno una
vulnerazione delle loro potestà sul piano finanziario, a causa
della riduzione delle risorse che lo Stato dovrà trasferire alle
Regioni per far fronte alle nuove competenze in materia.
2. Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale osserva come la
ricorrente Regione Emilia-Romagna lamenti non che i denunciati
commi 3 e 4 dell'art. 22 della legge n. 448 del 2001, dettati da
esigenze di risparmio finanziario, violino la competenza
legislativa concorrente, ma che potrebbero, in futuro,
compromettere l'esercizio delle potestà regionali. Da ciò
l'assenza di una concreta ed attuale lesione delle attribuzioni
costituzionali della Regione.
3. Con memoria depositata in
prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna, nel
contestare quanto sostenuto nell'atto di costituzione della difesa
erariale, assume di non dolersi di un pregiudizio "solo futuro"
delle potestà regionali in materia di istruzione, bensì di un
pregiudizio "attuale e grave", giacché le disposizioni denunciate
introducono non già principî fondamentali, ma una normativa di
dettaglio che, "in nome di un risparmio finanziario di modesta
entità", produrrebbero tuttavia "effetti di grande portata sul
sistema scolastico". In particolare, la Regione ricorrente si
duole del fatto che i commi 3 e 4 dell'art. 22, anziché
"provvedere ai necessari passaggi di funzioni, personale e uffici
alle Regioni", rafforzerebbero, in violazione del principio di
sussidiarietà ed adeguatezza, la competenza dell'ufficio regionale
scolastico e cioè di un organo statale di livello regionale.
Inoltre, le medesime disposizioni inciderebbero profondamente
sull'autonomia delle istituzioni scolastiche, impedendo a queste
ultime di mantenere in vita attività sperimentali ormai
ampliamente collaudate, con il conseguente pregiudizio
all'esercizio delle attribuzioni legislative regionali nella
materia, che dovrebbe svolgersi in un quadro organizzativo e
finanziario gravemente deteriorato dall'illegittimo intervento
statale. Deduce ancora la ricorrente che la competenza dello Stato
in materia di coordinamento finanziario nazionale e la necessaria
gradualità nel passaggio di compiti normativi tra Stato e Regioni
non possono comunque giustificare la "violazione attiva" delle
competenze regionali e del principio di leale collaborazione. Nel
caso di specie lo Stato avrebbe, invece, operato unilateralmente e
ciò per perseguire l'interesse ad un modesto risparmio
finanziario, sì da pregiudicare però quello, ben più rilevante,
legato alla qualità dell'istruzione pubblica.
Considerato in diritto
1. La Regione Emilia-Romagna ha
sollevato, in riferimento agli articoli 117 e 118, primo comma,
della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei
commi 3 e 4 dell'art. 22 della legge n. 448 del 2001, i quali
dettano disposizioni in materia di organizzazione scolastica
concernenti la definizione delle dotazioni organiche del personale
docente e l'orario di lavoro.
2. Una prima censura investe
l'art. 22, comma 3, nella parte in cui affida ad un organo statale
il compito di distribuire, nell'ambito della Regione, il personale
docente fra le varie istituzioni scolastiche. Ad avviso della
ricorrente questa disposizione non si limiterebbe ad imporre
principî organizzativi in materia di istruzione, ma conterrebbe
norme di dettaglio; essa lederebbe pertanto le attribuzioni
legislative regionali in materia di istruzione, oggetto di potestà
concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e
violerebbe i principi di sussidiarietà ed adeguatezza di cui
all'art. 118, primo comma, Cost.
La questione è fondata nei
termini di seguito precisati.
Per cogliere appieno la portata
della censura è opportuno richiamare il quadro normativo che le fa
da sfondo.
Lo stesso art. 22, al comma 1,
che non forma oggetto di alcuna contestazione, stabilisce che
nell'ottica "della piena valorizzazione dell'autonomia e di
una migliore qualificazione dei servizi scolastici, le dotazioni
organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche
autonome sono costituite sulla base del numero degli alunni
iscritti, delle caratteristiche e delle entità orarie dei
curricoli obbligatori relativi ad ogni ordine e grado di scuola,
nonché nel rispetto di criteri e di priorità che tengano conto
della specificità dei diversi contesti territoriali, delle
condizioni di funzionamento delle singole istituzioni e della
necessità di garantire interventi a sostegno degli alunni in
particolari situazioni", avuto anche riguardo alle esigenze
di assicurare adeguati servizi scolastici nelle zone montane e
nelle isole minori. In base al comma 2 del medesimo art. 22,
anch'esso estraneo all'odierna impugnazione, "il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca definisce con
proprio decreto, emanato di concerto con il Ministro dell'economia
e delle finanze, previo parere delle Commissioni parlamentari
competenti, i parametri per l'attuazione di quanto previsto dal
comma 1 e provvede alla determinazione della consistenza
complessiva degli organici del personale docente ed alla sua
ripartizione su base regionale".
In questo contesto si inserisce
il comma 3, che a sua volta stabilisce: "Le dotazioni
organiche di cui al comma 1 sono definite, nell'ambito di ciascuna
Regione, dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale,
su proposta formulata dai dirigenti delle istituzioni scolastiche
interessate, sentiti i competenti organi collegiali delle medesime
istituzioni, nel limite dell'organico regionale assegnato con il
decreto di cui al comma 2, assicurando una distribuzione degli
insegnanti di sostegno all'handicap correlata all'effettiva
presenza di alunni iscritti portatori di handicap nelle singole
istituzioni scolastiche".
Tale funzione di amministrazione
attiva non è nuova, poiché già prevista dall'art. 75, comma 3, del
decreto legislativo n. 300 del 1999, il quale ha istituito gli
uffici scolastici regionali quali articolazioni periferiche del
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e li ha
costituiti come uffici di livello dirigenziale generale ed
autonomi centri di responsabilità amministrativa. Ad essi è stata
affidata larga parte delle funzioni statali in materia di
istruzione, tra le quali le funzioni relative proprio
all'assegnazione delle risorse finanziarie e di personale alle
istituzioni scolastiche oltre quelle inerenti all'attività di
supporto alle istituzioni scolastiche autonome, quelle riguardanti
i rapporti con le amministrazioni regionali e con gli enti locali,
con le università e le agenzie formative, nonché quelle relative
al reclutamento e alla mobilità del personale scolastico. A ciò si
aggiunge il compito di realizzare un coordinato esercizio delle
funzioni pubbliche in materia di istruzione, per il quale lo
stesso comma 3 dell'art. 75 citato ha previsto la costituzione
presso ciascun ufficio scolastico regionale di un organo
collegiale a composizione mista, con rappresentanti dello Stato,
della Regione e delle altre autonomie territoriali interessate.
Per i profili organizzativi si è provveduto con il DPR n. 347 del
2000, la cui entrata in vigore ha coinciso con la soppressione dei
precedenti organi di amministrazione attiva, e cioè delle
sovrintendenze scolastiche regionali e dei provveditorati agli
studi, e con la contestuale assegnazione agli uffici scolastici
regionali di "tutte le funzioni già spettanti agli uffici
periferici dell'amministrazione della pubblica istruzione a norma
della vigente legislazione" (art. 6 del DPR n. 347 del 2000
adottato in forza della disposizione delegificante di cui all'art.
75, comma 3, del d.lgs. n. 300 del 1999).
Pur rimanendo escluse le funzioni
il cui esercizio è affidato alle istituzioni scolastiche nonché le
funzioni riservate all'amministrazione centrale dal medesimo DPR
n. 347, ovvero non conferite alle Regioni e agli enti locali
(secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 112 del 1998, agli artt.
138 e 139), gli uffici scolastici regionali svolgono comunque
compiti assai consistenti, seppure in raccordo con i dipartimenti
e con i servizi centrali. Le numerose funzioni di cui sono oggi
titolari, specificamente elencate nell'art. 6 del citato DPR n.
347, oltre all'assegnazione delle risorse finanziarie e alle
competenze attinenti alle relazioni sindacali, non attribuite alle
istituzioni scolastiche o non riservate all'amministrazione
centrale, comprendono appunto l'assegnazione di personale alle
istituzioni scolastiche, funzione, quest'ultima, che viene
ribadita ed ulteriormente precisata dall'impugnato comma 3
dell'art. 22 della legge n. 448 del 2001.
3. Secondo il riparto concepito
sotto il vigore dell'art. 117 Cost. nella sua originaria
formulazione, le competenze regionali proprie non oltrepassavano
l'istruzione artigiana e professionale e l'assistenza scolastica,
ogni altra competenza essendo esercitata dalla Regione su delega
statale. Lo Stato, conformemente ai caratteri propri di tale
strumento organizzativo, poteva dunque trattenere per sé qualsiasi
profilo di disciplina della materia, con l'effetto che le funzioni
delegate alle Regioni potevano risultare frammentarie e
disorganiche.
Tutto ciò non è più possibile nel
quadro costituzionale definito dalla riforma del Titolo V, giacché
la materia istruzione ("salva l'autonomia delle istituzioni
scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione
professionale") forma oggetto di potestà concorrente (art.
117, terzo comma, Cost.), mentre allo Stato è riservata soltanto
la potestà legislativa esclusiva in materia di "norme generali
sull'istruzione" [art. 117, secondo comma, lettera n)].
Ai fini della presente decisione
non è necessario definire interamente le rispettive sfere di
applicazione e il tipo di rapporto tra le "norme generali
sull'istruzione" e i "principî fondamentali", le
prime di competenza esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a
orientare le Regioni chiamate a svolgerli.
Nel complesso intrecciarsi in una stessa materia di norme
generali, principî fondamentali, leggi regionali e determinazioni
autonome delle istituzioni scolastiche, si può assumere per certo
che il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio
nella programmazione delle rete scolastica. E' infatti
implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto
spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita
nella forma della competenza delegata dall'art. 138 del decreto
legislativo n. 112 del 1998. Questo, per la parte che qui rileva,
disponeva che alle Regioni fossero delegate le funzioni
amministrative relative alla programmazione dell'offerta formativa
integrata tra istruzione e formazione professionale, alla
suddivisione, sulla base anche delle proposte degli enti locali
interessati, del territorio regionale in ambiti funzionali al
miglioramento dell'offerta formativa e, soprattutto, alla
programmazione, sul piano regionale, nei limiti delle
disponibilità di risorse umane e finanziarie, della rete
scolastica, sulla base dei piani provinciali, assicurando il
coordinamento con la programmazione dell'offerta formativa
integrata. In una parola era conferito alle Regioni, nell'ambito
della programmazione e della gestione del servizio scolastico,
tutto quanto non coinvolgesse gli aspetti finanziari e la
distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche.
Una volta attribuita l'istruzione
alla competenza concorrente, il riparto imposto dall'art. 117
postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione
amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo
quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra
le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme
generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva
dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione
della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può
essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero
allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza
statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei
principî organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una
propria disciplina.
4. Avuto dunque riguardo
all'assetto di competenze prefigurato dall'art. 117, terzo comma,
Cost. la questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna deve
essere dichiarata fondata, giacché la distribuzione del personale
docente tra le istituzioni scolastiche autonome è compito del
quale le Regioni non possono essere private; né l'esigenza di
attendere l'attuazione dei principî costituzionali in tema di
finanza regionale può giustificare il fatto che questa funzione
gestoria sia anch'essa posta in quiescenza. Nelle more
dell'attuazione dell'art. 119 Cost., e quindi nell'ambito delle
norme finanziarie attualmente vigenti e delle persistenti
competenze dello Stato ed in vista della compiuta realizzazione
del disegno costituzionale, ben possono le Regioni esercitare le
competenze gestorie che la Costituzione ad esse attribuisce.
La caducazione immediata del censurato comma 3 dell'art. 22,
sollecitata dalla Regione ricorrente, provocherebbe tuttavia
effetti ancor più incompatibili con la Costituzione. Alla
erogazione del servizio scolastico sono collegati diritti
fondamentali della persona, che fanno capo in primo luogo agli
studenti ed alle loro famiglie, ma che riguardano anche il
personale docente e le aspettative di questo circa la propria
posizione lavorativa. Vi è qui una evidente esigenza di continuità
di funzionamento del servizio di istruzione che non a caso la
legge n. 146 del 1990 qualifica, all'art. 1, servizio pubblico
essenziale. Quel principio di continuità che questa Corte ha già
riconosciuto operare, sul piano normativo, nell'avvicendamento
delle competenze costituzionali dello Stato e delle Regioni ed in
virtù del quale le preesistenti norme statali continuano a vigere
nonostante il mutato assetto delle attribuzioni fino all'adozione
di leggi regionali conformi alla nuova competenza (sentenza n. 13
del 1974 e da ultimo sentenza n. 376 del 2002), deve essere ora
ampliato per soddisfare l'esigenza della continuità non più
normativa ma istituzionale, giacché soprattutto nello Stato
costituzionale l'ordinamento vive non solo di norme, ma anche di
apparati finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali. In
tema di istruzione la salvaguardia di tale dimensione è imposta da
valori costituzionali incomprimibili.
Il tipo di pronuncia che questa
Corte è chiamata ad adottare è suggerito insomma dall'esigenza di
tenere insieme il rispetto del riparto delle competenze
costituzionali e la continuità del servizio scolastico. L'art. 22,
comma 3, della legge n. 448 del 2001 deve pertanto continuare ad
operare fino a quando le singole Regioni si saranno dotate di una
disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere la
funzione di distribuire gli insegnanti tra le istituzioni
scolastiche nel proprio ambito territoriale secondo i tempi e i
modi necessari ad evitare soluzioni di continuità del servizio,
disagi agli alunni e al personale e carenze nel funzionamento
delle istituzioni scolastiche.
5. Una seconda censura riguarda
il comma 4 dell'art. 22 della legge n. 448 del 2001, secondo cui
"nel rispetto dell'orario di lavoro definito dai contratti
collettivi vigenti, i dirigenti scolastici attribuiscono ai
docenti in servizio nell'istituzione scolastica, prioritariamente
e con il loro consenso, le frazioni inferiori a quelle stabilite
contrattualmente come ore aggiuntive di insegnamento oltre
l'orario d'obbligo fino ad un massimo di 24 ore settimanali".
La Regione Emilia-Romagna ne denuncia il contrasto con l'art. 117,
terzo comma, Cost. poiché, a suo avviso, computare l'impegno dei
docenti esclusivamente sulla base dell'orario d'obbligo, calcolato
sulle ore di lezione frontale, significherebbe impedire agli
istituti scolastici di mantenere in vita attività sperimentali
avviate con i decreti delegati del 1974 ed ancor più valorizzate
dall'art. 21 della legge n. 59 del 1997, che ha riconosciuto alle
istituzioni scolastiche un'autonomia destinata ad esprimersi
secondo i principî di flessibilità e diversificazione dei servizi
scolastici ed anche attraverso il superamento dei vincoli in
materia di unità oraria della lezione (comma 8).
La questione non è fondata.
E' opportuno chiarire
preliminarmente il significato della disposizione. Essa si limita
ad affermare il principio della preferenza dei docenti in servizio
nell'istituzione scolastica nell'assegnazione delle frazioni delle
ore aggiuntive di insegnamento fino ad un massimo, anch'esso
previsto contrattualmente, di 24 ore settimanali. Non si tratta
quindi di precludere attività didattiche già avviate, ma di
preferire nello svolgimento anche di queste attività il personale
già assegnato all'istituzione scolastica, sempre che tale
personale presti il suo consenso e che le frazioni inferiori a
quelle stabilite contrattualmente non costituiscano per i docenti
in servizio completamento dell'orario d'obbligo previsto dalla
contrattazione collettiva.
Così precisatone il significato, è evidente che la disposizione
enuncia un principio al quale devono attenersi le istituzioni
scolastiche ancorché dotate di autonomia.
Non vi è dunque alcuna lesione
delle attribuzioni legislative regionali, né, come ipotizza la
ricorrente, dell'autonomia delle istituzioni scolastiche. A
prescindere dalla questione se una Regione possa censurare leggi
statali ritenute lesive dell'autonomia scolastica, è assorbente il
rilievo che tale autonomia non può risolversi nella incondizionata
libertà di autodeterminazione, ma esige soltanto che a tali
istituzioni siano lasciati adeguati spazi di autonomia che le
leggi statali e quelle regionali, nell'esercizio della potestà
legislativa concorrente, non possono pregiudicare. E tali spazi
non vengono illegittimamente compressi dalla disposizione
censurata, che si limita ad affermare a favore dei docenti già in
servizio il principio di preferenza nella assegnazione di ore
aggiuntive di insegnamento fino al massimo contrattualmente
previsto di 24 ore settimanali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservate a separate decisioni le
restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 28
dicembre 2001, n. 448, sollevate dalla Regione Emilia-Romagna con
il ricorso in epigrafe,
1) dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'articolo 22, comma 3, della legge 28 dicembre
2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), nella parte
in cui non prevede che la competenza del dirigente preposto
all'Ufficio scolastico regionale venga meno quando le Regioni, nel
proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del
servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi
la definizione delle dotazioni organiche del personale docente
delle istituzioni scolastiche;
2) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'articolo 22, comma 4,
della medesima legge 28 dicembre 2001, n. 448, sollevata, in
riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe indicato.
Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre
2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 13
gennaio 2004.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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