La Corte di Cassazione ha nuovamente ribadito con ulteriori sentenze il diritto del personale Ata ex EE.LL al riconoscimento dell’intera anzianità maturata presso l’ente di provenienza; dette sentenze si riferiscono ad una udienza (15.03.2005), svoltasi successivamente alla pubblicazione delle precedenti sentenze, in cui l’Avvocatura Generale dello Stato aveva riproposto le proprie tesi con riferimento anche a presunte direttive europee.
La Corte di Cassazione ha, però, respinto tutte le richieste dell’Avvocatura Generale ivi compresa quella di rimettere la questione alle Sezioni Unite ritenendo del tutto infondate le richieste dell’Avvocatura ed accogliendo ancora una volta in pieno le argomentazioni del Sindacato a sostegno del personale Ata transitato dagli EE. LL allo Stato.
A questo punto la questione deve considerarsi ormai definita e sarebbe auspicabile che il Ministro, senza accampare ulteriori pretestuose argomentazioni, desse immediata estensione erga omnes ai principi, ormai consolidati, affermati dalla Corte di Cassazione.
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione lavoro
Nell’Ud.15.3.2005
SENTENZA
Sul ricorso proposto da
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in persona del----------------, e dal suo organo periferico UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE- CENTRO SERVIZI AMMINISTRATIVI PER LA PROVINCIA DI TERNI (ex PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI TERNI), in persona del legale rappresentante pro-tempore, legalmente domiciliati in Roma, -------------, presso l’Avvocatura generale dello Stato che li difende;
-----------------------elettivamnte domiciliata in Roma, --------- presso l’avvocato -------che, unitamente all’avv.to-------------, li difende per procura speciale apposta a margine del controricorso.
- resistente -
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Perugia del 30 ottobre 2003 n.501 (R.G. 3163/2003);
sentiti, nella pubblica udienza del 15.3.2005: il cons. -------che ha svolto la relazione della causa; l’avvocato dello Stato-------, gli avv.ti --------- e------------; il Pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore generale -------------che ha concluso per ili rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
La Corte di appello di Perugia con sentenza del 30 ottobre 2003, dopo avere dichiarato la nullità del ricorso proposto da ----------------nei riguardi del Ministero dell’Economia e delle Finanza, rigettava l’appello dell’Amministrazione dell’istruzione pubblica, confermando la sentenza non definitiva del Tribunale di Orvieto, recante l’accertamento che la suddetta-----------------, collaboratrice scolastica, facente parte del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (denominato A.T.A.) già dipendente di ente locale e passato alle dipendenze dell’amministrazione scolastica statale ai sensi dell’art.8 della legge 3 maggio 1999, n.124, aveva diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità di servizio posseduta al tempo del trasferimento del rapporto di lavoro e la condanna dell’amministrazione statale al pagamento delle conseguenti differenze retributive dal 1° gennaio 2000, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge.
A giudizio della Corte di Perugia, il disposto del comma 2 della legge indicata (a detto personale è riconosciuta ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata) obbligava l’amministrazione statale ad applicare, dal 1° gennaio 2000, il c.c.n.l. del comparto scuola al personale trasferito tenendo conto di tutta l’anzianità maturata alle dipendenze dell’ente locale, cosicchè non era conforme al dettato della fonte primaria l’attuazione datane (mediante decreto interministeriale e accordo collettivo) con il collocamento del detto personale nella fascia stipendiale corrispondente alla retribuzione in godimento al 1° dicembre 1999 (cd.”maturato economico”) e non in quella corrispondente all’effettiva anzianità di servizio.
La cassazione della sentenza è domandata dall’Amministrazione con ricorso per un motivo unico, contenente piu’ censure, al quale resiste con controricorso la lavoratrice.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo del ricorso, è denunciata, in primo luogo, violazione dell’art.8 l.124/1999 perché la decisione impugnata aveva riconosciuto un aumento della retribuzione per effetto del mutamento del soggetto datore di lavoro e dell’applicazione di un c.c.n.l. (comparto scuola) che dava rilievo all’anzianità di servizio ai fini stipendiali (diversamente dal contratto del comparto enti locali), mentre il legislatore aveva inteso unicamente garantire la conservazione delle posizioni acquisite, escludendo l’assunzione di oneri economici maggiori di quelli già gravanti sugli enti locali.
Si afferma, quindi, che la legge aveva espresso un principio necessitante di essere specificato dalla normazione secondaria, di cui si contemplava l’emanazione, e il decreto ministeriale, emanato sulla base di accordo stipulato tra l’Aran e le organizzazioni sindacali, aveva legittimamente disciplinato il sistema di allineamento degli istituti retributivi del comparto enti locali con quelli del comparto scuola, riconoscendo l’anzianità pregressa ai fini dell’inquadramento secondo il maturato economico.
Si aggiunge, infine, con argomentazione svolta in via logicamente subordinata e ribadita anche con la memoria ex art.378 c.p.,c. che l’accordo sindacale 20 luglio 2000, relativo al sistema di inquadramento del personale A.T.A. secondo il criterio del maturato economico, aveva natura di vero e proprio contratto collettivo nazionale di lavoro- come desumibile dalle disposizioni contenute nel c.c.n.l. 8 marzo 2002- ed era percio’ abilitato a derogare anche a norme di legge, ai sensi dell’art.2, comma 2, secondo periodo, d.lgs.30 marzo 2001, n.165.
La Corte giudica il ricorso privo di fondamento in tutti i profili di censura, ancorchè la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme al diritto, debba essere corretta e integrata (art.384, comma secondo, c.p.c.).
Si deve procedere, innanzi tutto, all’individuazione delle fonti della regola di giudizio, iniziando dal disposto del comma 1 dell’art.8 della legge 3 maggio 1999, n.124: Il personale ATA degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado è a carico dello Stato. Sono abrogate le disposizioni che prevedono la fornitura di tale personale da parte dei comuni e delle province.
Si è, dunque, in presenza di fattispece di trasferimento di attività, dalla competenza degli enti locali a quella dello Stato, cui si collega il trasferimento dei rapporti di lavoro.
Il rilievo consente di ricondurre la detta fattispecie alla disciplina generale, in tema di passaggi di personale, contenuta nell’art.34 del d.lgs. n.29 del 1993, come sostituito dall’art.19 del d.lgs.n.80 del 1998 (ora art.31 d.lgs.165/2001): Fatte salve le disposizioni speciali, nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applicano l’articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure di informazione e di consultazione di cui all’articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n.428.
Cio’ consente, da una parte, di ritenere che, per escludere la continuità giuridica ad ogni effetto del rapporto di lavoro del personale che transita alle dipendenze di un diverso soggetto, con la conservazione di tutti i diritti (che rappresenta il nucleo essenziale dell’art.2112 c.c., le cui regole sono state cosi’ rese applicabili a fattispecie diverse dal “trasferimento di azienda”), è indispensabile che operino “disposizioni speciali” (naturalmente di rango, considerata la natura della fonte da erogare); dall’altra, che la contrattazione collettiva certamente non è abilitata ad incidere sulla garanzia apprestata dall’art.31 d.lgs 165/2001, come su tutte le norma inderogabili contenute in questo corpus normativo (art.2, comma 2, dello stesso decreto).
L’indagine va ora incentrata sulla normativa specifica regolante il trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato.
Il comma 2 dell’art.8 l.124/1999 dispone il trasferimento del personale degli enti locali nei ruoli del personale ATA statale,con inquadramento nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali corrispondenti (in mancanza di corrispondenza, è prevista la possibilità di optare per il mantenimento in servizio presso l’ente locale) e sancisce testualmente: Al detto personale vengono riconosciuti ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza nonché il mantenimento della sede in fase di prima applicazione in presenza della relativa disponibilità del posto.
Il comma 3 dello stesso articolo si occupa specificamente del personale di ruolo che riveste il profilo professionale di insegnante tecnico-pratico o di assistente di cattedra appartenente al VI livello nell’ordinamento degli enti locali, in servizio nelle istituzioni scolastiche statali, il quale è analogamente trasferito alle dipendenze dello Stato ed inquadrato nel ruolo degli insegnanti tecnico-pratici.
Il comma 4 stabilisce che il trasferimento del personale di cui ai commi 2 e 3 avviene gradualmente, secondo i tempi e modalità da stabilire con decreto del Ministro della pubblica istruzione, emanato di concerto con i Ministri dell’Interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, sentite l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), l’Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani (UNCEM) e l’Unione delle province d’Italia (UPI), tenendo conto delle eventuali disponibilità di personale statale conseguenti alla razionalizzazione della rete scolastica, nonché della revisione delle tabelle organiche del medesimo personale da effettuare ai sensi dell’art.31, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29 e successive modificazioni; in relazione al graduale trasferimento nei ruoli statali non stabiliti, ove non già previsti, i criteri per la determinazione degli organici delle categorie del personale trasferito.
Il comma 5, infine, dispone che, a decorrere dall’anno in cui hanno effetto le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4, si procede alla progressiva riduzione dei trasferimenti statali a favore degli enti locali in misura pari alle spese comunque sostenute dagli stessi enti nell’anno finanziario precedente a quello dell’effettivo trasferimento del personale.
L’operata ricognizione dimostra l’assenza di “disposizioni speciali”, derogatorie dell’art.31 d.lgs 165/2001.
In particolare, il predetto secondo il quale al personale in questione è riconosciuta ai fini giuridici ed economici l’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza, risulta, per un verso, chiaramente confermativo della regola generale di cui all’art.31 d.lgs 165/2001; per altro, la sua compiutezza esclude che, come ha sostenuto il Ministero ricorrente, sia stato demandato a fondi secondarie il compito di precisarlo ed integrarlo. Ed infatti, appare inequivocabilmente il tenore del comma 4, secondo il quale il passaggio del personale avviene “gradualmente”, secondo tempi e modalità da stabilire con decreto ministeriale, decreto che, dunque, è stato abilitato a determinare la concreta operatività dei trasferimenti, non certo a intervenire in relazione alla disciplina del riconoscimento dell’anzianità.
Di fronte ai dati posti di evidenza, assai debole si manifesta l’obiezione che il legislatore avrebbe disciplinato la vicenda nel presupposto che il passaggio allo Stato non dovesse comportare, per nessuno dei dipendenti trasferiti, incrementi della retribuzione. E nella stessa direzione priva di consistenza giuridica si mostrerebbe un procedimento ermeneutico volto a leggere la normativa di settore, nella prospettiva della sua conformità all’art.81 Cost., nel senso che il riconoscimento dell’anzianità pregressa debba intendersi limitato, sul piano economico, alla garanzia dei livelli retribuiti raggiunti.
La tesi si confuta osservando che il senso fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore (volontà e coerenza dell’ordinamento, non intento degli autori), è esattamente opposto: riconoscimento dell’anzianità non solo ai fini giuridici ma anche economici; che non sono pertinenti al tema le disposizioni contenute nel comma 5 dello stesso art.8 l.124/1999, poiché la disposta riduzione dei trasferimenti statali agli enti locali in misura corrispondente all’effettivo risparmio di spesa conseguente alla cessazione degli oneri per il personale trasferito, non offre certo elementi per ritenere che l’onere di spesa dovesse permanere identico per l’amministrazione statale in relazione al singolo dipendente considerato; che il contrasto con l’art.81, quarto comma, Cost. è ravvisabile solo quando sia sussistente un apprezzabile scostamento rispetto alle previsioni di spesa, senza alcuna ragionevole coerenza fra l’onere coperto ed i mezzi per farne fronte (cfr.Corte cost.n.384 del 1991, n.295 del 1993), non certo in relazione ai maggiori oneri a carico del bilancio statale eventualmente derivanti dall’interpretazione di una legge (vediart.61, comma 1- bis, d.lgs 165/2001, inserito dall’art.1, comma 133, della legge 30 dicembre 2004, n.311) e comunque nell’ambito di un sistema articolato in modo complesso rispetto alla copertura dei nuovi oneri per il personale (risparmi di spesa anche derivanti da operazioni di razionalizzazione).
Con riferimento al precisato quadro legislativo, occorre a questo punto verificare come sia stato attuato dall’amministrazione statale.
Con il Decreto Ministeriale 23 luglio 1999 (in Gazz.Uff. 21 gennaio n.16)- Trasferimento del personale ATA dagli enti locali allo Stato, ai sensi dell’art.8 della legge 3 maggio 1999, n.124- viene dato atto, nel preambolo, di aver dato previa informazione alle organizzazioni sindacali; si dispone il trasferimento dei dipendenti degli enti locali in servizio alla data del 25 maggio 1999, nei ruoli del personale ATA statale, con inquadramento dal 1° gennaio 2000 nelle qualifiche funzionali e nei profili corrispondenti per lo svolgimento dei compiti propri dei predetti profili; si demanda ad un successivo decreto del Ministero della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell’interno, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e per la funzione pubblica, la definizione dei criteri di inquadramento, nell’ambito del comparto scuola, finalizzati all’allineamento degli istituti retributivi del personale in questione a quelli del comparto medesimo, con riferimento alla retribuzione stipendiale, ai trattamenti accessori e al riconoscimento ai fini giuridici ed economici, nonché dell’incidenza sulle rispettive gestioni previdenziali, dell’anzianità maturata presso gli enti, previa contrattazione collettiva, da svolgersi entro il mese di ottobre 1999, fra l’ARAN e le organizzazioni sindacali rappresentative dei comparti scuola ed enti locali, ai sensi dell’art.34 del decreto legislativo n.29/1993 e dell’art.47 della legge n.428/1990.
Il previsto, successivo, decreto del Ministero della pubblica istruzione (5 aprile 2001 (in Gazz. Uff.14 luglio n.162)- ha “recepito” l’accordo ARAN Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000, sui criteri di inquadramento del personale già dipendente degli enti locali e transitato nel comparto scuola, richiamando ancora, nel preambolo, l’art.34 d.lgs.29/1993, e l’art.47 l.428/1990.
Interessa la controversia la previsione dell’art.3 dell’accordo sindacale (e del decreto), con la quale- secondo l’accertamento di fatto del giudice del merito, non oggetto di contestazioni- il personale A.T.A. doveva essere inquadrato nella progressione economica per posizioni stipendiali delle corrispondenti qualifiche professionali del comparto scuola, mediante attribuzione della posizione stipendiale d’importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al dicembre 1999, con l’ulteriore precisazione che l’eventuale differenza tra l’importo della posizione stipendiale, di inquadramento e il trattamento annuo in godimento alla data indicata veniva corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale.
E’ evidente, quindi, sempre secondo gli accertamenti di fatto compiuti nel giudizio di merito, che al nuovo inquadramento economico non si è proceduto sulla base dell’anzianità di servizio, ma è stato il complessivo livello retributivo a determinare il riconoscimento di una certa anzianità.
Il passaggio dall’uno all’altro assetto è stato effettuato in base al criterio del cd. “maturato economico”, il quale tiene conto unicamente del trattamento economico complessivo goduto al momento dell’inquadramento nei ruoli statali, prescindendo dall’anzianità effettiva. Questo comporta un chiaro vantaggio per il personale all’inizio della carriera, il quale beneficia immediatamente dei miglioramenti retributivi ed ha la prospettiva di beneficiare a lungo per tutto lo svolgimento della prevista progressione economica, ma al tempo stesso provoca un appiattimento della posizione del personale con maggiore anzianità nell’ambito della medesima qualifica, il quale se vede conservato il proprio trattamento economico, puo’ beneficiare del nuovo e piu’ favorevole sistema retributivo per un periodo di tempo molto minore.
Sul piano delle regole giuridiche, la descritta vicenda legittima le conclusioni seguenti:
a) ai menzionati decreti interministeriali va riconosciuta natura di atti generali con i quali il nuovo datore di lavoro- lo Stato- ha dato attuazione al trasferimento di personale previsto dalla legge, restando esclusa la natura normativa, e cio’ sia per i riferimenti contenuti nei rispettivi preamboli e la mancata sottoposizione dei decreti al parere del Consiglio di Stato (come prescritto, per l’emanazione dei regolamenti di competenza ministeriale, dall’art.17 legge n.400 del 1998, in relazione al disposto dell’art.17, comma 25, lett.a), della legge 15 maggio 1997, n.127) sia perché totalmente privi, almeno in punto di riconoscimento dell’anzianità ai fini giuridici ed economici, di contenuti astratti e generali diretti ad innovare l’ordinamento giuridico, neppure sul piano della mera esecuzione del disposto normativo;
b) in particolare, con il secondo dei decreti indicati, è stato “recepito” un accordo sindacale, il quale non puo’ che essere inserito- come, del resto, espressamente si dice nel preambolo- nell’ambito del quadro normativo tracciato dall’art.47 l.428/1990, commi 1-4, che contempla esclusivamente obblighi di informazione e di consultazione nei confronti delle organizzazioni sindacali;
c) di conseguenza, non puo’ dubitarsi che l’accordo sindacale 20 luglio 2000 è privo di natura normativa, ma rappresenta semplicemente l’esito di consultazioni in ordine alle modalità- con valutazione concorde delle parti- di attuazione del trasferimento dei rapporti di lavoro, non risultando altrimenti spiegabile la “recenzione” nel decreto ministeriale.
E’ dimostrata così l’infondatezza delle tesi dell’amministrazione ricorrente che assumono a presupposto l’efficacia normativa dell’accordo collettivo che sarebbe stato abilitato per questo ad incidere sulla disciplina dei rapporti di lavoro anche in deroga a disposizioni speciali di legge (art.2 comma 2 d.lgs.165/2001). In realtà, l’accordo non è ascrivibile alla categoria descritta dall’art.40, d.lgs 165/2001, né risulta stipulato secondo la speciale procedura prevista, e cio’ rende anche superfluo riprendere il discorso , sopra accennato, circa i limiti all’autonomia collettiva derivanti dall’inderogabilità delle disposizioni dello stesso decreto 165/2001 (nella specie, art.31).
In definitiva, la risoluzione della controversia non richiede di disapplicare atti amministrativi presupposti, né di verificare la compatibilità con la legge di clausole di contratti collettivi, ma soltanto di verificare se l’amministrazione di destinazione, il nuovo datore di lavoro, abbia tenuto, mediante gli atti generali adottati con i decreti ministeriali e previa consultazione sindacale, un comportamento coerente con le regole dei rapporti di lavoro, ovvero se queste regole siano state violate, con conseguente inadempimento imputabile all’amministrazione statale.
Si è già constatata inestistenza di “disposizioni speciali” rispetto alla disciplina di cui all’art.2112 c.c. (art.34 d.lgs. 29/1993, nel testo novellato dal d.lgs. 80/1998, e poi riprodotto dall’art.31 d.lgs. 165/2001), disciplina, al contrario, confermata e ribadita dall’art.8 l.124/1999.
Non vi sono elementi, quindi, per ritenere che la legge da ultimo citata abbia inteso apportare una qualche deroga al disposto dell’art.2112 c.c. – nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dall’art.1 d.lgs n.18 del 2001 e dall’art.32 d.lgs 276 del 2003- nella parte in cui stabilisce la continuità giuridica dello stesso rapporto di lavoro e l’applicazione immediata del c.c.n.l. in vigore nel comparto di destinazione, ancorchè la normativa sostitutiva possa comportare condizioni peggiorative (vedi Cass.8 settembre 1999, n. 9545), in linea, del resto, con analoghe discipline del settore pubblico (cfr.art.7, legge 20 marzo 1975, n.70).
Il riconoscimento dell’anzianità pregressa mediante il sistema del cd. “maturato economico”, invece, per il carattere fortemente derogatorio rispetto agli effetti della continuità dei rapporti di lavoro, presuppone una specifica abilitazione legislativa, nella fattispecie assolutamente mancante.
Pertanto fermo restando il potere attribuito all’amministrazione della legge in ordine alla determinazione dei tempi ed altre modalità del trasferimento di personale, il trasferimento medesimo, una volta divenuto operativo, comporta l’adozione di atti di inquadramento rispettosi dei principi dettati dall’art.2112 c.c. e dalla conforme legislazione di settore, principi che implicano l’attribuzione della qualifica corrispondente a quella posseduta con l’anzianità già maturata. In altri termini al dipendente A.T.A. già in servizio presso gli enti locali, vanno applicati i trattamenti economici e normativi stabiliti dal c.c.n.l. del comparto scuola, considerandolo come appartenente al detto comparto fin dalla costituzione del rapporto di lavoro con l’ente locale, e cio’ a prescindere dal risultato retributivo finale (favorevole o svantaggioso).
Sussistono giusti motivi, identificati nelle novità e peculiarietà delle questioni, per compensare interamente le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.