Dibattito al Senato sulla legge delega sull'istruzione

271a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE 2002

(Antimeridiana)

MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE 2002

D’ANDREA (Mar-DL-U). Signor Presidente, signora Ministro dell’istruzione, colleghi, la nostra discussione generale su questo provvedimento stata preceduta ieri dalle comunicazioni del Governo sul luttuoso sisma che ha colpito Molise e Capitanata. Il nostro pensiero, mentre affrontiamo questi temi, non può non andare soprattutto al luttuoso evento di San Giuliano di Puglia.

Ne ha parlato ieri la senatrice Dato, con toni commossi ed efficaci. Noi pensiamo a quei bambini sepolti sotto le macerie, alle loro maestre, a quelle decedute nell’adempimento del loro dovere e a quelle sopravvissute a stento, che hanno dato tutte prova non solo di altruismo, di generosità e di umanità, onorevole Ministro, ma anche di straordinaria professionalità, in quei lunghissimi, tragici momenti.

Questa la vera grande risorsa, a volte nascosta, della scuola italiana, di cui troppo spesso non sappiamo apprezzare compiutamente il valore.

Così come scopriamo solo ex post quel che significa la scuola per un piccolo centro di montagna, in Umbria e nelle Marche, nel Friuli o in Sicilia e in Basilicata; quel che significa anche in termini simbolici, di identità culturale, di impegno civile. E facciamo bene ad imprimercelo nella mente mentre poniamo mano con eccessiva disinvoltura ai processi di razionalizzazione e alle cosiddette misure taglia-classi.

Bene che riparta proprio da qui la nostra riflessione sulla possibile riforma della scuola. Lei, signora Ministro, ha fatto bene a partecipare alla cerimonia funebre e ha fatto bene a promettere impegno per il rapido ritorno alla normalità della vita della scuola, che deve riprendere a scorrere presto nelle aree colpite dal sisma per accompagnare il ritorno alla normalità.

Ma la maniera migliore per onorare la memoria di quelle vittime innocenti e per restituire alla terra martoriata del Molise il «futuro rubato» è di fare il possibile, da parte nostra, da parte di tutti noi, perché quel che è accaduto non si ripeta, come ci ha chiesto domenica la mamma di una di loro.

Mi permetto di dire, a questo proposito, che non basta il pur indispensabile stanziamento nella finanziaria, piccolo o grande che sia, che noi stessi abbiamo chiesto in Commissione con un ordine del giorno prima che si verificasse l’evento tragico del Molise; è giunto il tempo, finalmente, di un’iniziativa straordinaria, da realizzare di concerto con le Regioni, come noi stessi proponiamo con un disegno di legge che abbiamo presentato questa mattina, come Gruppo della Margherita, primo firmatario il senatore Scalera.

Abbiamo bisogno di un’iniziativa straordinaria che ci permetta di guardare con ottimismo al futuro, alla sicurezza e all’idoneità delle aule nelle quali i nostri figli trascorrono metà del loro tempo e che, qualsiasi sarà l’assetto della scuola italiana, noi speriamo – anzi, dobbiamo impegnarci perché ciò accada – sia un tempo impiegato al meglio.

Abbiamo bisogno di scuole da riattare e di scuole nuove, non della robotica, perché si tratta di creare scuole vive, inserite nella vita normale delle nostre comunità, non scenografie virtuali di improbabili fiction televisive.

Sono problemi aperti, questi, e direttamente connessi con uno dei capisaldi della riforma alla nostra attenzione: quello dell’anticipo, che ha incontrato le obiezioni più forti e diffuse. Alle già ben note argomentazioni di valenza psicopedagogica, relative ai ritmi dell’età evolutiva e dell’apprendimento,

si aggiungono, in maniera ormai prepotente, a questo punto, dopo essere state senza successo segnalate più volte anche dall’ANCI in sede di parere sulla sperimentazione breve intanto avviata, tutte quelle relative alla sicurezza dell’edilizia destinata ad ospitare anche la sperimentazione di questi mesi, che mi auguro sia stata attentamente verificata anche sotto questo profilo, per neutralizzare il rischio di danni patiti, questa volta, con il nostro concorso di colpa.

Una proposta, quella dell’anticipo, che non ha incontrato il favore ne´ della maggioranza ne´ dell’opposizione, se è vero, come è vero, che dalla Commissione è stato approvato un emendamento del relatore che declassa l’anticipo da opzione strategica a mera ipotesi di sperimentazione transitoria e facoltativa, come ha sottolineato ancora ieri sera il senatore Valditara, senza peraltro chiarire che cosa accadrebbe nel frattempo nelle realtà che non vi faranno ricorso.

E `questo un altro elemento di incertezza destinato a gravare sulla scuola italiana, che per il secondo anno consecutivo è paralizzata da un processo di ibernazione volto ad impedire intanto l’applicazione della legge n. 30 del 2000, legge dello Stato tuttora in vigore, sicuramente perfettibile, che nessuno ha impedito di correggere e di integrare.

Governo e maggioranza hanno scelto di non farlo per cedere ad esigenze propagandistiche sbandierate durante il confronto elettorale e hanno scelto la strada pericolosa di congelarne l’attuazione, aprendo una spirale di carattere giuridico e costituzionale, sulla quale ci siamo soffermati più volte, foriera di conseguenze anche in sede giurisdizionale, soprattutto se, nel perdurare della stasi in atto, dovesse prevalere, come mi sembra persino ovvio, il riferimento alla fattispecie dell’atto dovuto.

Ebbene, si è detto che al congelamento si sarebbe posto termine con l’approvazione di questa legge, è

stato ripetuto anche ieri sera. Diventa chiaro, invece, che quand’anche questo provvedimento completasse il suo iter – se mai ciò dovesse accadere – il suo incerto e faticoso cammino, non si porrebbe termine alla provvisorietà, perché tutto l’impianto della nuova scuola prefigurata dal disegno di legge governativo poggerebbe, a questo punto, su una norma adottata solo in via sperimentale e transitoria, anzi facoltativa, come specificato ieri dal senatore Valditara.

E se si decidesse di non trasferire a regime la norma sull’anticipo? Ci sarebbero seri problemi, senatore Asciutti, a mantenere la previsione della durata quinquennale della scuola secondaria superiore in aggiunta agli otto anni del primo ciclo, così come si capisce anche dalla previsione dell’attuale articolo 2, lettera g), di quel quinto anno «ballerino». Ed allora, dopo il congelamento, passeremo (è facile prevederlo) ad uno stand-by, ad un bagnomaria che non ci fa gioire.

Gli studenti e le famiglie avvertono la frustrazione di un percorso formativo non più all’altezza delle nuove sfide ed il messaggio che passa è di una svalutazione dell’istruzione pubblica, mentre si ingigantiscono le ombre di una selezione per censo e non per merito e di un ritorno al passato di scelte premature tra chi potrà continuare gli studi e chi è obbligato a lavorare subito: un tempo che ritenevamo definitivamente superato con la riforma Gui della scuola media unica per tutti, tra le più significative compiute in questo cinquantennio.

Gli operatori scolastici hanno bisogno di certezze per programmare il loro impegno, per prepararsi ai nuovi compiti, per aggiornarsi ed affinare le loro attitudini. Hanno bisogno di rimotivarsi e anche di andare oltre le angustie di un approccio alle esigenze di razionalizzazione della spesa che si rivela sempre più aziendalistico e ragionieristico e che pone in causa la continuità delle sedi di lavoro, non solo dei precari e dei soprannumerari, ma anche di quanti vedono smontare progressivamente le loro cattedre grazie ai nuovi criteri di formazione delle classi che discendono dall’applicazione della finanziaria 2002 e da quella in discussione alla Camera.

Un disagio generale diffuso. Tutte le organizzazioni sindacali se ne sono rese interpreti. Un coro unanime di insoddisfazione. Per la prima volta l’azione concreta di governo si è rivelata addirittura peggiore delle sue promesse al vento e ha ridotto l’area di consenso nel mondo della scuola. Ma questo lo sapete tutti. Ve ne accorgete parlando con le persone, così come ce ne siamo accorti tutti noi nell’ampio ciclo di audizioni svolto in Commissione.

E francamente non riesco ancora a capire perché non cambiate rotta, perché non cerchiate di riannodare i fili del dialogo con il Parlamento ed il Paese, mentre si capisce benissimo perché abbiate accompagnato – mi rivolgo ai colleghi della maggioranza – così svogliatamente e senza entusiasmo il cammino della riforma in Commissione ed ora qui in quest’Aula.

Le ragioni della nostra opposizione sono note, le abbiamo più volte espresse e sono riassunte nella relazione di minoranza esposta con grande lucidità dalla collega Soliani. Proverò brevemente a ricordarle. Per quel che riguarda il metodo, esse si rivolgono al ricorso ad una indifferenziata delega che vi siete ostinatamente opposti a riempire di contenuti, riproducendo una situazione di palese incostituzionalità opportunamente e molto efficacemente sollevata dal presidente Mancino, sia con riferimento alla sovrapposizione tra competenze esclusive dello Stato e potestà legislativa concorrente sia con riferimento al rapporto tra delega legislativa e delegificazione.

Vi sono poi i problemi relativi alla copertura finanziaria, anche qui sia dal punto di vista formale che dal punto di vista sostanziale. La Commissione bilancio (mi dispiace che non sia presente il presidente Azzollini) è  arrivata al paradosso, signor Presidente, di dare il via libera solo in cambio di un ulteriore ricorso alla flessibilità e alla gradualità, togliendo valore effettivo alle norme che si stavano varando e rinviando, in realtà, la realizzazione delle previsioni contenute nella riforma alle possibilità concrete di copertura e condizionando il suo parere finale positivo all’introduzione di un emendamento di chiusura del comma 5 dell’articolo 7, che fa obbligo al Ministro di modulare persino l’anticipo in funzione del tetto di spesa prefissato, con evidenti implicazioni costituzionali relative allo standard minimo delle prestazioni che bisogna assicurare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale senza condizionarle ad obiettivi di contenimento della spesa, come ci hanno ricordato le sentenze n. 309 del 1999 e n. 282 del 2002 della Corte costituzionale.

Nessun cenno alle esigenze finanziarie non collegate all’anticipo (c’è un’omertà su questo punto) che pure riguardano aspetti qualificanti della riforma. E non ci si venga a dire che basta a superare questo tipo di riserve l’ordine del giorno approvato dalla Commissione, che aveva un senso durante la fase precedente per spingere una previsione della finanziaria in discussione, ma non lo ha più, ora, a finanziaria aperta, in presenza di una finanziaria che non contiene le risposte sollecitate dall’ordine del giorno.

Ma oltre alle obiezioni di metodo (perché queste possono essere considerate tali) ci sono quelle di merito, relative all’anticipo, di cui abbiamo già parlato ed alla rigidità eccessiva dell’articolazione interna del primo ciclo, che non valorizza l’unitarietà della scuola di base e manomette la scuola elementare, la quale, insieme a quella dell’infanzia, resta ancora oggi (non solo fino agli anni Ottanta, come lei, senatore Valditara, ha maliziosamente sottolineato) uno dei gioielli del nostro sistema scolastico.

Altri elementi che provocano una valutazione molto critica sono il modo attraverso il quale viene affrontato il nodo dell’integrazione e dell’obbligo scolastico, o del «doppio canale», nonché la maniera con la quale si disciplina la formazione degli insegnanti. Forse sarebbe stato il caso di stralciare quel complesso di norme e di farne oggetto di una riflessione approfondita, come in definitiva, senatore Asciutti, ci era stato chiesto nel corso delle audizioni dagli interlocutori che si occupano più direttamente  di questo tema.

Ancora, ci preoccupa la debolezza delle previsioni relative alla formazione continua, non legate ad alcun piano di utilizzazione di risorse finanziarie ne´ ad alcun collegamento con il momento dell’istruzione e della formazione. Noi riteniamo che il rapporto tra esperienza scolastica e formazione al lavoro sia delicato. Nel testo che ci viene proposto restano percorsi paralleli: un vero, rigido doppio canale, una formula pasticciata e, in ultima analisi, poco moderna e poco coraggiosa.

Valorizzando le competenze regionali del nuovo Titolo V si potrebbe puntare ad un livello più alto e compiuto di integrazione, affrontando magari attraverso questa strada le modalità di realizzare un obbligo scolastico innalzato, non aggirato con una norma ordinaria che presume addirittura di correggere il dettato costituzionale, così come accade con l’incredibile lettera c) dell’articolo 2, comma1.

In Commissione avevamo dichiarato la nostra disponibilità ad un confronto di merito se si fosse spostata dal Governo al Parlamento la sede delle scelte vere e ci eravamo illusi, ascoltando la replica del Ministro a conclusione della discussione generale, che su questo punto vi fossero delle aperture. Ad essa però ha fatto seguito una pressoché totale indisponibilità su qualsiasi emendamento.

Quasi tutti gli emendamenti dell’opposizione hanno incontrato il parere negativo del Governo, fino a trascinare il parere negativo del relatore che – gliene va dato atto – peraltro ha fatto il possibile, da Presidente, almeno per garantire un adeguato esame in Commissione, ma che non credo possa dichiararsi del tutto soddisfatto per il testo che approda all’esame dell’Aula, soprattutto in rapporto alla pregevole relazione con la quale ne aveva avviato l’iter in Commissione, ormai sei mesi fa.

Questo atteggiamento di chiusura del Governo e della maggioranza ha visto, ad uno ad uno, cadere sotto la scure dell’invito al ritiro persino gli emendamenti correttivi timidamente avanzati da esponenti della Casa delle liberta` per affrontare le questioni più controverse.

Fa bene il presidente Pera ad occuparsi dello Statuto dell’opposizione con riferimento alle norme regolamentari di completamento del sistema maggioritario, ma anche alla luce di questa esperienza, forse bisogna pensare piuttosto ad uno «Statuto della maggioranza», per consentirle di esprimersi più liberamente rispetto alle posizioni del Governo, sulle quali si appiattisce anche nei dettagli, senza ragione.

Il Parlamento non è una fossa dei leoni pronti a sbranare; abbiate più fiducia in esso. Quando i parlamentari propongono emendamenti, non vanno temuti, signora Ministro, come Danaos et dona ferentes, almeno quelli della maggioranza (certo, i senatori Compagna, Gaburro, Favaro, Brignone e la stessa senatrice Bianconi meritavano un altro trattamento) e noi avremmo voluto esaminarli nel dettaglio in Commissione, in uno spirito di costruttiva disponibilità.

In conclusione, per noi resta centrale la scuola dell’autonomia; da essa si può ripartire e da essa si può ricostruire ogni rapporto e fare della scuola il vero riferimento per la crescita della comunità italiana. Senza il rilancio della scuola dell’autonomia nell’ambito del sistema nazionale d’istruzione e sovrapponendo un burocratismo o un centralismo che rivendica spazi anche nella definizione del dettaglio dei programmi non ci sarà, signora Ministro, per la scuola italiana quel che anche lei auspica.

(Applausi dai Gruppi Mar-DL-U, DS-U, Verdi-U e dei senatori Crema e Michelini. Congratulazioni).

 

INTERROGAZIONE

SOLIANI, D’ANDREA, MONTICONE. – Al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca. – Premesso che:

I drammatici accadimenti di San Giuliano di Puglia (Campobasso) del 2 novembre scorso, assieme al dolore e al cordoglio del Paese per un’inaccettabile tragedia umana, hanno anche suscitato angosciosi interrogativi circa l’effettivo grado di sicurezza delle strutture scolastiche pubbliche presenti su tutto il territorio nazionale; infatti, il terremoto che ha colpito il Molise assieme ad un’estesa area dell’Italia centrale, causando crolli e gravissime lesioni a numerose abitazioni private, ha di fatto provocato il maggior numero di vittime in un unico crollo, quello di un edificio pubblico che per la sua funzione istituzionale avrebbe dovuto essere il luogo piu` protetto e sicuro per i suoi frequentatori: la scuola pubblica; tuttavia, non si può dire che concreti segnali della condizione quanto meno preoccupante dell’edilizia scolastica pubblica non fossero da tempo pervenuti, anche da fonti istituzionali, evidenziando una situazione di persistente violazione della disciplina di prevenzione dettata dal decreto legislativo n. 626 del 1994; in particolare, nel febbraio 2002, il Ministero dell’istruzione ha pubblicato, in un apposito rapporto, i dati di un sondaggio sullo stato dell’edilizia scolastica effettuato su 10.800 istituzioni scolastiche, frequentate da oltre 8 milioni di alunni ed un milione di operatori del settore; dal citato rapporto risulta che circa il 57 per cento degli istituti scolastici nazionali è tuttora privo del certificato di agibilità statica; tale percentuale di regolarità scende al 37,5 per cento nella regione Molise, restando largamente al di sotto del 30 per cento nelle regioni Umbria, Calabria e Sardegna; ancora più gravi appaiono i riscontri circa l’effettiva predisposizione di scale di sicurezza e di sistemi di prevenzione incendi: circa il 35 per cento degli edifici scolastici e` risultato privo del prescritto numero di vie di fuga e addirittura quasi il 70 per cento non sarebbe in regola con la disciplina anti-incendi; a fronte di carenze, ritardi e inefficienze nella gestione dell’edilizia scolastica pubblica che sono indubbiamente croniche e molto risalenti nel tempo, la situazione appare oggi ulteriormente compromessa a causa del vistoso taglio delle risorse destinate all’edilizia scolastica operato in questa

legislatura e confermato nel disegno di legge finanziaria per il 2003; in particolare, come già nella scorsa legge finanziaria, anche nel testo tuttora in discussione alla Camera non è previsto per il 2003 alcun rifinanziamento per i Piani triennali di edilizia scolastica avviati con la legge n. 23 del 1996; semmai per lo stesso anno risulta ridotta – di 63,78 milioni di euro – la dotazione del «Fondo speciale in conto capitale destinato alla copertura delle future leggi di spesa per investimenti nel settore scolastico, si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno intervenire, nell’esercizio delle sue prerogative e competenze, per sollecitare la piena applicazione al settore scolastico delle disposizioni contemplate dal decreto legislativo n. 626 del 1994 in materia di salute e sicurezza sul lavoro, anche con riferimento all’accertamento dell’effettiva agibilità statica di tutti gli edifici scolastici presenti sul territorio nazionale e, in particolare, di quelli ubicati nelle aree a piu` elevato rischio sismico e idrogeologico; in generale, se non ritenga che l’attuale situazione del sistema scolastico nazionale, sotto i profili sia infrastrutturale sia di gestione e organizzazione delle risorse umane e professionali, necessiti di un più consistente impegno finanziario da parte del Governo, al fine di contrastare la profonda destrutturazione del modello di istruzione pubblica, tuttora in atto, cui corrisponde un impoverimento dell’Istituzione sia in termini materiali, come effetto della contrazione delle risorse, sia in termini valoriali, incidendo sulla dignità e sicurezza degli alunni e degli operatori e, in definitiva, sulla affidabilità e credibilità del sistema pubblico d’istruzione.

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