Pubblichiamo l'articolo di Enrico Panini, apparso sul n. 32 di Rassegna Sindacale, che affronta le novità e i problemi irrisolti che la scuola di trova di fronte con l'avvio del nuovo anno scolastico.
Roma, 15 settembre 2006
Quello che si è aperto da pochi giorni è un anno scolastico all’insegna delle novità. In questi mesi sono state cancellate un buon numero di pessime invenzioni che corredavano la legge Moratti. La contrattazione si è rivelata uno strumento potente per contribuire a raggiungere questo risultato e questo è un fatto rilevante anche per il ruolo che vi svolge il sindacato.
Il processo di “demorattizzazione” è in corso, la scuola comincia con maggiori certezze, si è percorso un discreto tratto di strada. Il grande movimento di questi anni trova prime e significative risposte alla propria iniziativa. In questa opera di disboscamento il ruolo del nostro sindacato è stato importante: abbiamo sostenuto con determinazione gli stessi obiettivi che abbiamo portato avanti con coerenza in questi anni.
Se tutti i ministri avessero realizzato un processo analogo a quello che è stato avviato all’istruzione (e all’università, ma ne parleremo in un altro momento) avremmo un quadro complessivo molto migliore.
Ma il percorso che abbiamo davanti è tutt’altro che in discesa, restano aperti diversi problemi che, se non riceveranno soluzioni adeguate e coerenti, segneranno negativamente l’intero processo.
Il primo riguarda la Finanziaria. Per un movimento che ha difeso la scuola pubblica dalle incursioni del precedente governo, che l’ha riconsegnata al Parlamento con livelli soddisfacenti di tenuta qualitativa, che ha dato un consenso elettorale all’Unione vicino all’80 per cento degli addetti (non c’è altra categoria di lavoro dipendente che possa vantare dati così netti), sentirsi dire da Padoa-Schioppa che gli insegnanti sono troppi è un pugno nello stomaco.
Sentirselo dire poi sulla base di dati sbagliati aggrava, e di molto, la durezza del colpo. Ed è inconcepibile che
in questi mesi la scuola sia progressivamente scomparsa anche dalle citazioni di rito del governo sulla sua importanza per lo sviluppo tranne che per essere associata ai tagli. Nessuno si nasconde la gravità della situazione, ma è inaccettabile l’incapacità - che continuo a registrare in questi giorni - di legare politiche di sviluppo all'innalzamento dei livelli di scolarità del paese. E' evidente che se si dovesse affermare una politica dei due tempi in questo settore la pagheremmo per lunghi anni.
Il secondo problema riguarda i precari. In questi giorni, un esercito di oltre 150.000 persone comincerà a lavorare ininterrottamente per l'intero anno scolastico per garantire il funzionamento della scuola, spesso nelle condizioni più disagiate. Di anno in anno il numero si ingrossa, ognuno di loro ha mediamente superato due concorsi pubblici, il loro costo è maggiore di quello di un collega a tempo indeterminato a parità di anzianità. La precarizzazione della categoria coincide con la precarizzazione dell'istituzione. Ci sono scuole dove il precariato è attorno al 70% degli addetti! Che relazione educativa si costruisce se gli studenti sanno già dall'inizio che l'anno successivo comunque il loro insegnante non sarà più lo stesso? E' evidente che o si argina la precarizzazione con un massiccio piano di immissioni in ruolo in tempi rapidi o, oltre ai drammi di questi lavoratori, dovremo registrare che la scuola diventerà un luogo dal quale progressivamente chi potrà allontanerà i propri figli perchè l'insicurezza della relazione educativa è ciò che un genitore non tollera, e giustamente.
Il terzo riguarda il fatto che i provvedimenti assunti fino ad ora dal ministro si muovono all'interno di un quadro legislativo che è quello determinato dal precedente governo, la legge Moratti. E' evidente che nei pochi mesi che separavano l'inizio dell'attività del governo dall'inizio dell'anno scolastico non si poteva fare altro. Ma è altrettanto evidente che nel medio periodo o si riesce a eliminare quel riferimento o le contraddizioni rischiano di diventare esplosive, a partire dal fatto che molti vincoli e limiti sono nella legge, che siamo in uno stato di diritto per cui le norme esistenti non si possono forzare oltre misura. Poi bisogna cominciare a costruire oltre che a cancellare.
L'obiettivo primo non può che essere rappresentato dall'innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni di età. Le ragioni sociali e civili che sorreggono questo traguardo sono evidenti: innalzare i livelli di cultura, dare più strumenti alle persone per governare il proprio futuro, elevare la capacità complessiva del paese. E' noto che pe rla Cgil questo è il primo passo verso un obbligo scolastico a 18 anni entro la legislatura. Ma è proprio sull’accezione di “scolastico” che la questione è tutt’altro che chiusa. Non mancano le contraddizioni anche nelle parole del ministro, un chiaro indicatore che nulla può essere dato come scontato. E allora bisogna cominciare a mettere in campo un’iniziativa forte e chiara in questa direzione.