Le sfide di fronte alle quali si trova il nuovo governo di Centro-sinistra non sono affatto di poco conto. Se ritenessimo di governare limitandoci a fare l’esatto contrario di quanto è stato fatto dalla Destra, sbaglieremmo di grosso, perché la Destra non solo ha governato male, ma ha adottato uno stile di lavoro – se si può di così – che è l’esatto contrario di quello che un governo normale dovrebbe adottare in un Paese ad alto sviluppo. Va aggiunto che la società di oggi è estremamente complessa e che ormai i contesti socioeconomici trascendono di gran lunga quelli squisitamente nazionali: pertanto, non possiamo non coordinarci con le politiche dell’Unione europea, per di più in un mondo che si va sempre più globalizzando.
La Destra ci ha costretti per cinque anni al muro contro muro, alla politica strillata, a fare della battaglia contro il berlusconismo l’obiettivo primario! Ma non va dimenticato che sono stati cinque anni perduti, a fronte delle esigenze di un mondo che procede ad alta velocità e che ci chiede di attestarci su livelli ben più dignitosi rispetto all’uno a zero raggiunto con le elezioni del 9 e 10 aprile. Occorre imboccare, e rapidamente, in via preliminare, due strade, che in una campagna elettorale, imposta per certi versi dall’avversario, sono state appena tracciate!
La prima è quella di assumere comportamenti ed iniziative politiche che siano tutte di ampio respiro, che abbiano come divisa quella Progettualità con la P maiuscola di cui un Paese normale non può fare assolutamente a meno. E, quando si parta di progettualità, occorre avere ben presente che nei vari settori della vita economica e sociale occorre ragionare avendo chiara conoscenza sia degli obiettivi da perseguire che dei tempi per la loro realizzazione. Se è vero che le leggi finanziarie hanno un respiro e una cadenza annuale, è anche vero però che in una società complessa non si può rinunciare a progetti ed obiettivi che trascendano tale cadenza. In effetti, è come se la normativa attuale in termini di finanza pubblica riflettesse più il Paese di un tempo ormai lontano che un Paese proiettato in un arengo internazionale ben più articolato e multiforme rispetto a quei confini nazionali sui quali per certi versi siamo ancora un po’ noi tutti costretti!
La seconda strada da percorrere è strettamente legata alla prima! Se la scelta dei ministri e delle concrete politiche dei diversi dicasteri si fonda sul mero gioco della spartizione delle poltrone, il rischio è che non si andrà molto avanti. Nessuna obiezione contro il fatto che ogni forza politica dell’Unione abbia il suo premio – se si può dir così – ma è necessario che questo premio non gratifichi il particolare, a danno di quell’universale su cui si gioca lo sviluppo di un Paese avanzato. E’ una vecchia consuetudine che la valenza politica prevalga sempre su quella tecnico-operativa, perché – si suol dire – è il politico il lungimirante ed al tecnico spetta solo il compito di eseguire! Ma oggi è ancora così? Nel mondo complesso e globalizzato politica e tecnica – concetti che utilizzo in senso lato, ovviamente! – debbono procedere all’unisono, la competenza politica non può prescindere dalla competenza tecnica.
Non possiamo più accettare che a Porta a Porta o a Ballarò i leader parlino di tutto e su tutto vantando spesso conoscenze e competenze che non possono avere, e che nessun Leonardo oggi potrebbe possedere! I senatori della Bulè ateniese facevano appello alla loro esperienza di anziani, e ciò poteva essere sufficiente per il governo della polis. Ma oggi la polis è il mondo, e dai nostri rappresentanti dobbiamo pretendere molto di più, ma in primo luogo in termini di responsabilità. E’ doveroso che un politico abbia una visione globale dei mille problemi che oggi sono sullo scenario mondiale prima che nazionale, ma è anche doveroso che, quando il politico scende sul terreno tecnico, sia anche il vero tecnico di quel determinato problema! Quindi, nella scelta dei ministri già sarà chiaro quale impronta e quale direzione il nuovo Presidente del Consiglio intende dare al suo Governo.
In una prospettiva di questo genere sarà estremamente importante verificare quale ruolo dovranno assumere l’educazione, l’istruzione e la formazione in un Paese che deve assolutamente riassumere quella leadership mondiale e quella credibilità che in tempi non lontani abbiamo conosciute. Evito coscientemente di parlare di scuola in senso stretto, perché in un Paese ad alto sviluppo – in cui apprendere significa apprendere per tutta la vita – è riduttivo parlare di scuola, né si può più dire che il ministro dell’istruzione si occupa di scuola, perché non è così e non deve essere così! E’ estremamente grave che in campagna elettorale la questione istruzione abbia sempre svolto il ruolo di cenerentola, a fronte di questioni economiche e sociali (il lavoro, lo sviluppo, il Pil, e così via). Il che sta a significare che nel retropensierio di tanti politici tale questione sia pur sempre di secondo livello. Ma non è così, perché la definizione di “società della conoscenza” non è un adagio qualsiasi, un vezzo, un omaggio alle intuizioni di un Delors o di un Morin! La conoscenza, se ci è concessa la similitudine, è per il mondo futuro ciò che il carbone e l’acciaio sono stati per il mondo della industrializzazione!
Il Presidente del Consiglio deve avvertire esigenze di questo tipo, e soprattutto deve avvertirle il nuovo ministro dell’istruzione! Politique d’abord, disse una volta Pietro Nenni sostenendo il primato della politica in un Paese ancora troppo centrato sui problemi del quotidiano! E’ ora che oggi si dica: Education d’abord! In altri termini, il nuovo ministro dell’Istruzione non deve assolutamente pensare di doversi limitare a riparare i danni provocati dalla Moratti – di qui la necessità di superare il dilemma abrogazione sì, abrogazione no! Il che è anche doveroso, ma assolutamente limitativo rispetto alla sfide che ci attendono!
La questione di fondo è quella del rilancio su larga scala di tutta la politica dell’educazione. Se non si è convinti che, se non disponiamo, e a breve, di competenze tecniche qualificate, di competenze organizzative e manageriali, di validi ricercatori, tutto il nostro apparato produttivo rischia di essere battuto da concorrenze che si fanno sempre più aggressive. E una politica diffusa dell’educazione dovrà coniugarsi con una politica del lavoro e una nuova politica estera che guardi con prospettive assolutamente nuove ai mercati orientali.
Ricostruire una legislazione del lavoro che non baratti per flessibilità ciò che è soltanto precarietà è uno degli assi della nuova Progettualità. Ma la politica estera non va affatto sottovalutata, se non vogliamo trovarci imbrigliati in una sorta di precarietà nei rapporti internazionali.
Cinque secoli fa la “scoperta dell’America” aprì i mercati dell’Ovest e affondò il primato di Venezia sul Mediterraneo. Oggi bussano alle nostre porte i mercati dell’Est e il nostro Paese può costituire quel ponte mediterraneo che dia vita a un nuovo asse commerciale tra l’Europa e i Paesi emergenti dell’Asia. La politica aggressiva degli Stati Uniti ieri contro l’Irak, oggi contro l’Iran, può essere battuta solo se l’Europa è capace di assumere verso l’Asia un ruolo di protagonismo e di pace, ruolo di cui il nostro Paese può diventare un indispensabile alfiere.
E’ in una strategia di questo tipo che le scelte del governo della Destra in materia di istruzione, in materia di lavoro e nella politica estera (l’asse Berlusconi-Bush) vanno assolutamente rovesciate, se si vuole far ripartire il nostro Paese con un ruolo promozionale per una nuova vocazione dell’Unione europea.
Secondo una visione sistemica e progettuale dell’esercizio della politica, le tre direzioni indicate, l’educazione, il lavoro, la politica estera, dovrebbero, a nostro avviso, procedere contestualmente per avviare il nostro Paese su un cammino assolutamente nuovo ed originale.
Per quanto riguarda l’istruzione, il primo obiettivo è quello di rileggere e tradurre in atto quanto è sancito nel novellato Titolo V della Costituzione: a) che lo Stato si limiti veramente a dettare le norme sull’istruzione e quei livelli essenziali che in tale materia devono essere garantiti dalle istituzioni scolastiche e formative; b) che le Regioni con gli Enti locali esercitino la loro legislazione, concorrente in materia di istruzione, esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale; c) e che le istituzioni scolastiche e formative possano veramente “insegnare” e “formare” – secondo metodologie le più integrate possibili – nella autonomia che è loro costituzionalmente riconosciuta. Liquidare al più presto tutte le invasioni di campo perpetrate dalla Moratti è un compito primario del nuovo governo.
Per queste ragioni la scuola militante e il Paese devono pretendere in primo luogo due cose: a) un impegno reale del governo affinché i problemi dell’educazione siano affrontati contestualmente con quelli del lavoro e della politica estera; b) ed un ministro dell’istruzione di elevato profilo che sia veramente all’altezza di una situazione non facile!
Roma, 13 aprile 2006
Maurizio Tiriticco