La CM 84/05 contiene un forte elemento di illegittimità: l’inserimento della religione cattolica tra le discipline ed attività da valutare e da riportare all’interno del documento di valutazione.
Le scuole, uniformandosi alle indicazioni della circolare, rischiano di non rispettare prescrizioni derivanti da norme primarie e di essere oggetto di contenzioso da parte delle famiglie degli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica e che potrebbero contestare alla scuola l’evidenziazione di scelte che riguardano la sfera personale, tutelata e garantita dalle leggi dello Stato.
Infatti è illegittimo, oltre che discriminatorio, procedere secondo l’indirizzo della circolare, dal momento che una circolare non può sostituirsi a norme di legge che prevedono, invece, altro comportamento.
La circolare ministeriale tratta la religione cattolica come fosse una tra le tante discipline e in tal senso, in altra occasione, si è già espresso il Miur (vedasi ad esempio la nota 16 giugno 2004, prot. 10642); in realtà l’insegnamento religioso nella scuola ha uno spessore tutto particolare e si fonda su intese con le rappresentanze delle diverse comunità. Le intese sono poi recepite in leggi dello Stato Italiano e il testo unico di legislazione scolastica riporta compiutamente tutte le disposizioni specifiche.
Per quanto riguarda la religione cattolica l’accordo con la Santa Sede del 1984 (che pure ha lasciato irrisolti molti nodi problematici e altri ne ha creati) ha rappresentato una innovazione nei confronti delle diversità di professione di fede. Prima di esso, la religione cattolica era inclusa a pieno titolo tra le materie di insegnamento; il caso più estremo era rappresentato dai programmi della scuola elementare del 1955, rimasti in vigore per trent’anni, che assumevano l’insegnamento religioso (che fosse quello cattolico era talmente implicito, che non valeva la pena aggettivarlo) quale “fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa”. A chi si riconosceva in una diversa fede religiosa non rimaneva che la possibilità di chiedere l’esonero dalla frequenza; non poteva tuttavia sottrarsi all’impostazione religiosa che avrebbe dovuto caratterizzare tutta la didattica. Erano pochissimi coloro che si avvalevano dell’esonero, anche in considerazione del fatto che ne risultava macroscopicamente la differenza loro e delle loro famiglie.
Dando esecuzione a quanto invece pattuito con l’accordo del ’84, l’insegnamento della religione è diventato facoltativo. Lo stato italiano si è impegnato ad assicurarlo nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, attribuendo agli studenti e alle loro famiglie il diritto di scegliere se avvalersi o meno di detto insegnamento e garantendo la non discriminazione di chi non si avvale. Ma l’insegnamento della religione cattolica, pur essendo facoltativo, è rimasto dentro l’orario obbligatorio (DPR 751/85, DI 7 maggio 2001).
Le intese siglate con altre comunità religiose hanno pattuito comportamenti differenziati. Alla Chiesa Evangelica Luterana e all’Unione delle Comunità Ebraiche lo stato italiano assicura “la possibilità di rispondere ad eventuali richieste degli alunni con modalità concordate con gli organi previsti dall’ordinamento scolastico” e oneri a carico delle comunità stesse. La Tavola Valdese, invece, “nella convinzione che l'educazione e la formazione religiosa dei fanciulli e della gioventù, sono di specifica competenza delle famiglie e delle Chiese” ha rinunciato a svolgere nelle scuole l’insegnamento religioso.
Non tutte le religioni godono dunque, per quanto riguarda l’insegnamento, di un trattamento analogo. Il tratto unificante di tutte le intese è però costituito dall’impegno che lo stato italiano si assume affinché l'insegnamento religioso non abbia per gli alunni effetti discriminanti.
Il Testo Unico di legislazione scolastica riporta le norme sull’insegnamento della religione agli articoli 309, 310, 311.
Per quanto riguarda la valutazione, molto chiaro è il comma 4 dell’articolo 309 del TU (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione del 16 aprile 1994 n. 297):“per l’insegnamento della religione cattolica…viene redatta a cura del docente e comunicata alla famiglia, per gli alunni che di esso si sono avvalsi, una speciale nota, da consegnare unitamente alla scheda o alla pagella scolastica…”.
Il dettato è così chiaro che non possono sorgere equivoci: la comunicazione sull’insegnamento della religione non può stare dentro il documento di valutazione, per rispettare l’intento del legislatore che è quello di garantire le scelte diverse, al fine di non creare occasioni discriminanti. Né può valere il ragionamento che nel documento di valutazione sono contemplate anche altre attività non obbligatorie. Le attività facoltative ed opzionali sono unitariamente concepite e programmate con le altre discipline dentro il curricolo della scuola, mentre così non può essere per la religione, a meno di voler tornare alla situazione pre-concordataria della vecchia scuola elementare.
La circolare sulla valutazione ignora volutamente le disposizioni normative adesso vigenti, arrivando a considerare la scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica quale comportamento ordinario per tutti, come se le disposizioni di maggior favore adottate nei confronti del cattolicesimo rispetto alle altre religioni (insegnamento dentro l’orario obbligatorio, insegnanti stipendiati dallo stato) servissero ad annullare quelle diversità che sono invece garantite.
Per quanto ci riguarda stiamo già attivando tutti gli strumenti necessari (diffida; ricorsi; richiesta di intervento da parte di alcune Autorità di garanzia) per il rispetto delle leggi, delle scelte e contro un atteggiamento inaccettabile sul versante della laicità della scuola e del rispetto delle scelte individuali che così risultano pesantemente calpestate.
Roma, 30 novembre 2005