I sindacati autonomi, si stanno specializzando in quest’ultima direzione. Cerchiamo allora di mettere ordine nelle cose e di fornire qualche indicazione utile.
La legge approvata dal Parlamento, è entrata in vigore il 6 ottobre, ma perché diventi operante la parte relativa alla previdenza complementare ed al trasferimento del TFR nei fondi pensione (con il meccanismo del silenzio assenso), occorre un decreto attuativo per il quale il governo ha tempo 18 mesi.
Dalla data di emanazione del decreto, il lavoratore ha tempo 6 mesi per comunicare la propria decisione. In mancanza di questa ci sarà il trasferimento d’ufficio del TFR ad un non meglio precisato fondo pensione.
Al momento attuale, non si sa ancora se e in quale modo il pubblico impiego verrà toccato dalla norma che vale per il settore privato.
La norma riguarda però solo il TFR e non l’Indennità di Buona Uscita (la cosiddetta liquidazione).
Questa, fino al momento attuale (e la legge approvata non prevede modificazioni), non può essere trasferita ai fondi pensione. Perché ciò possa avvenire è necessaria la volontà del lavoratore (espressa mediante la sottoscrizione di un modulo) di aderire ad un fondo pensione. Con l’adesione volontaria al fondo pensione, la IBU maturata viene trasformata in TFR e da quel momento viene rivalutata annualmente secondo il meccanismo del TFR (1,5% più il 75% dell’inflazione). Soltanto una parte del TFR che viene maturato dal momento dell’opzione in avanti viene trasferito al fondo pensione.
Tutta la manovra previdenziale del governo è tesa a distruggere la previdenza obbligatoria pubblica e a danneggiare quella complementare negoziale. A questo è bene reagire, ma non conviene fare di tutta quanta l’erba un fascio. Esistono grosse differenze tra i fondi pensione negoziali e i cosiddetti fondi aperti. Differenze di gestione, di rendimento, di rischio. Per molti versi non si possono nemmeno paragonare.
Certo, chi pensa di arricchirsi con i fondi pensione negoziali, si sbaglia. Questi sono nati per consentire, a chi si trova pensioni decurtate anche del 50% rispetto a quelle degli anni passati, di costruirsi una pensione di anzianità o di vecchiaia decorosa. Ne possono trarre vantaggio soprattutto le lavoratrici ed i lavoratori che hanno bassa anzianità contributiva.
Non si arricchiranno certamente, ma, stando ai dati ufficiali, qualche cosa ci potranno guadagnare. Il rendimento dei fondi pensione negoziali, negli ultimi quattro anni, è stato leggermente più alto di quello del TFR: da 3,6% a 3,9%. Vale a dire circa mezzo punto in più del TFR.
Non è una pacchia, ma è diverso da quello che alcuni dicono.
La scelta di aderire ad un fondo pensione negoziale non è poi così drammatica come la si vuole dipingere. Quello che è certo, è che le convenienze ad aderire possono essere molto diverse a seconda della propria condizione contributiva e di età anagrafica. I casi vanno valutati attentamente ed individualmente.
L’ultima considerazione è che se uno ci tiene ad avere una liquidazione, anche aderendo ad un fondo pensione la può avere. E’ possibile scegliere se il capitale maturato al momento del pensionamento lo si vuole ricevere tutto sotto forma di assegno pensionistico o se invece se ne vuole ricevere una parte in contanti. Non tutto (solo fino ad un massimo del 50%) perché lo scopo di questa previdenza complementare non è quello di speculare e trarre enormi vantaggi dal mercato azionario (cosa questa assai aleatoria), ma di costruire una pensione che integri quella pubblica obbligatoria.
In ogni caso è bene ricordare che nel pubblico impiego l’unico fondo pensione esistente è quello del comparto della scuola (Espero) e per il quale sta per iniziare la raccolta di adesioni. Per tutti gli altri la situazione è ancora bloccata. Perché?
E’ probabile che il motivo sia duplice. Da un lato c’è quello di favorire la previdenza complementare privata e individuale, e dall’altro c’è un motivo di carattere economico. Ci sono delle leggi che finanziano la previdenza complementare negoziale del pubblico impiego. Sono soldi che vanno ai lavoratori che aderiscono ai fondi (sono vantaggi che vanno oltre il rendimento stesso dei fondi) e che il governo sarebbe costretto anche a rifinanziare.
La CGIL si oppone fortemente all’attacco evidente e pericoloso che il governo sta facendo alla previdenza generale obbligatoria, ma è anche molto attenta alle situazioni reali dei lavoratori. In particolare, dopo le grandi riforme degli anni passati, le giovani generazioni si trovano con la prospettiva di pensioni insufficienti. A questi non si può rispondere solo con una battaglia di principio, ma proponendo e contrattando condizioni di maggior favore. La previdenza complementare negoziale è una risposta, parziale, a dei bisogni, in attesa che le condizioni ci permettano di intervenire maggiormente in profondità.
Dissentire è giusto, ma con le informazioni giuste!