La FLC si presenta ufficialmente alla società italiana con le sue idee e il suo progetto sulla scuola, l'istruzione, l'università e la ricerca.
Un contributo importante proveniente dal nuovo sindacato della CGIL che, oltre a dire "NO" alle scelte e alle politiche sbagliate del governo delle destre, invita le forze politiche, le associazioni, i movimenti e le istituzioni a confrontarsi con le proprie proposte programmatiche per delineare nuove scelte di fondo per la scuola, l'università e la ricerca.
Sintesi della relazione introduttiva di Enrico Panini
"COSTRUIAMO UN PROGRAMMA PER LA CONOSCENZA
Presentazione
La Cgil e la Federazione Lavoratori della Conoscenza della Cgil (un nuovo sindacato di categoria che mette insieme in una casa comune tutti coloro che operano nella conoscenza a partire dalla scuola, dall’università e dalla ricerca) sono convinti che occorra definire rapidamente un programma sulla conoscenza in cui siano chiaramente esplicitati gli obiettivi su cui ci si impegna e che solleciti un contributo ampio e partecipato.
Intendiamo avviare questo percorso e dire quanto vogliamo fare, con l’autorevolezza che ci deriva dall’essere, insieme, la maggiore confederazione ed il maggiore sindacato di categoria.
Il tema della conoscenza è fondamentale:
siamo di fronte ad un blocco di interventi su scuola, università e ricerca tali da delineare una delle peggiori riforme della storia della nostra repubblica;
ci sono centinaia e centinaia di migliaia di persone che si sono mobilitate e che hanno diritto ad una risposta.
Il bivio
Scuola, università e ricerca sono di fronte ad un bivio.
Si tratta, infatti, o di rassegnarsi ad assistere ad una progressiva delegittimazione della scuola pubblica, dell’Università, alla riduzione della ricerca a settore servente del mercato, con tutti i drammi sociali che ciò comporterà, o delineare una nuova politica della conoscenza in grado di interagire con lo sviluppo del mondo contemporaneo e dare una prospettiva di sviluppo al nostro Paese.
L’Italia sta scivolando inesorabilmente nella serie B dell’economia planetaria, fuori dal G7.
Ma già oggi siamo fuori da qualsiasi G7 della cultura, della scuola, dell’università, della ricerca e dell’innovazione: la Cina, nel 2002, ha speso 60 miliardi di dollari per la ricerca .
Solo Usa e Giappone hanno speso di più. Noi abbiamo speso meno che nel 2001.
Da tre anni, l´economia italiana è in panne. Francia e Germania non stanno meglio ma c´è una differenza sostanziale. Fra il 2000 e il 2004, la Germania, nonostante la crisi, ha aumentato le esportazioni del 15%. La Francia del 12%. In Italia sono diminuite del 7%. In Germania nel 2000 sono stati concessi 459 brevetti ogni 100.000 abitanti, in Francia 631, in Italia solo 70.
Perché tanta sensibilità alla congiuntura?
Perché nei settori più dinamici del commercio mondiale (farmaceutica, elettronica di consumo, ecc.) la quota italiana nel commercio mondiale si è ridotta negli ultimi anni di circa la metà.
Fra i paesi che compongono l’Ocse solo Polonia, Grecia e Turchia stanno peggio.
Una graduatoria Ocse relativa allo stato di cultura di un Paese misura gli «investimenti in sapere».
Il nostro tasso di aumento in questi investimenti è stato il più basso di tutto il mondo sviluppato.
Portogallo, Polonia, Messico e Grecia sono partiti più indietro di noi, ma i loro investimenti in conoscenza aumentano dell’´8% l´anno, i nostri dell’1,8%.
Il nostro giudizio sui provvedimenti del Governo
Consideriamo inaccettabili le politiche di questo Governo che riscrivono la storia di scuola, università e ricerca trasformandoli da luoghi in cui si dovrebbero superare le disuguaglianze e favorire il progresso a luoghi che affidano la regolazione dei diritti al mercato.
Riteniamo che sui provvedimenti del Governo e del Ministro Moratti non siano possibili mediazioni e che vadano abrogati.
I valori
Mettere in campo una proposta programmatica sulla conoscenza significa, innanzitutto, partire dai valori ed essere su questi molto netti e determinati.
La pace e il rifiuto della guerra e della violenza. Conoscere, accettare, ascoltare sono risorse di pace.
Il diritto alla formazione e alla conoscenza per tutto l’arco della vita.
La dimensione pubblica e laica della scuola, dell’università e della ricerca, come garanzia del pluralismo, della democrazia e delle pari opportunità.
La tutela delle persone da ogni mercificazione delle proprie condizioni in una società sempre più globale, in cui il ruolo della conoscenza e della ricerca diventano fondamentali.
Il riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità di tutto il personale.
La professionalità dei lavoratori della scuola è garanzia del diritto ad una formazione di qualità.
L’autonomia della ricerca come condizione perché il nostro Paese diventi un punto di riferimento qualificato sui terreni delle risorse, energie, ambiente, innovazioni compatibili con la dignità ed il rispetto dell’essere umano e dell’ambiente che lo circonda.
L'Europa. Abbiamo proposta al Social Forum di Londra pochi giorni fa di dare vita ad un movimento europeo su questi temi.
Ma è anche necessaria una dimensione solidaristica più generale con decine di Paesi in via di sviluppo nei quali la Banca Mondiale costringe a tagliere le spese per il sapere. Sarà fondamentale l’impegno dell’Italia a non mandare soldati (rispettando l’art.11 della Costituzione) ma a mandare materiali e risorse per sostenere le culture locali e liberare dalla miseria dell’analfabetismo.
1. Metodo e merito
La prima scelta riguarda l’impegno ad aprire nel Paese un grande dibattito democratico su un programma sulla conoscenza, almeno pari a ciò che è accaduto recentemente in Francia.
In questi anni è cresciuta ed è cambiata la percezione della politica, l’impegno, il desiderio di ognuno di confrontarsi.
Sono movimenti maturi e importanti.
Il Paese dovrebbe essere loro grato perché se l’azione del Governo è in visibile difficoltà ciò è dovuto a questi movimenti e alla grande iniziativa che i sindacati hanno messo in campo.
Bisogna assumere il protagonismo delle persone ed il loro coinvolgimento come modalità naturali nella costruzione ed implimentazione di un programma per la conoscenza.
2. L’autonomia delle scuole, delle università, della ricerca
La seconda scelta che proponiamo è relativa all’autonomia.
Bisogna investire con decisione sull’intelligenza dei luoghi collettivi, sulla cultura delle comunità scientifiche, sulla necessità di esercitare la responsabilità nel rapporto con le persone e con le finalità pubbliche.
La recente approvazione alla Camera della modifica alla Costituzione dissolve ogni funzione nazionale, in particolare dell’istruzione, ed è destinata ad impoverire e a dividere il Paese.
Inoltre, occorre individuare un luogo di confronto istituzionale fra tutti i livelli territoriali coinvolti e di coinvolgimento effettivo delle componenti della scuola e della società. Ci riferiamo alla necessità di una sede di confronto permanente su tutta una serie di norme e provvedimenti che non devono più essere delegati alle burocrazie e luogo di esercizio concreto del confronto che non può essere sequestrato dal Ministro di turno.
3. Risorse
La terza scelta riguarda le risorse.
Chiediamo che il rapporto delle risorse investite nella conoscenza con il PIL passi dall’attuale 5% circa ad oltre il 6%, come indicato dalla Commissione Internazionale sull’educazione per il 21° secolo.
Ciò significa concretamente un aumento di oltre 2 punti percentuali dell’attuale spesa rispetto al PIL.
Queste risorse devono essere finalizzate, fra l’altro, a generalizzare davvero gli asili nido, la scuola dell’infanzia statale sull’intero territorio nazionale, a garantire la domanda di tempo pieno e di tempo prolungato, a portare il 100% dei giovani al diploma di scuola superiore, in ciò aggiornando positivamente gli stessi obiettivi di Lisbona 2000, a dare condizioni di vivibilità alle nostre università, ad incrementare i fondi per la ricerca di base, a sostenere un piano nazionale su diritto allo studio, a valorizzare adeguatamente il lavoro di docenti, ricercatori, ata e dirigenti, battere l’analfanetismo e costruire un sistema di educazione permanente.
Bisogna flessibilizzare il Patto di stabilità escludendo dal calcolo del deficit di ogni Paese le spese per implementare gli interventi nel grande campo della conoscenza.
4. Un piano nazionale per il diritto allo studio
La quarta scelta parla ai diritti delle persone e all’investimento sociale rappresentato dal fatto che i giovani, gli adulti siano messi nelle condizioni di incontrare il sapere.
Se il sapere arricchisce le persone e se il beneficio prodotto dal punto di vista economico e sociale è evidente allora il suo costo non può essere caricato sulle spalle dei singoli.
Rivendichiamo un piano nazionale per il diritto allo studio che riconosca, in relazione al reddito, ad ogni famiglia e proporzionalmente alla durata degli studi un contributo economico crescente a testimoniare dell’investimento che il Paese mette in campo.
Inoltre, per realizzare l’educazione per tutta la vita, rivendichiamo la costruzione di una “banca del tempo educativo“, cioè una sorta di capitalizzazione del tempo, un vero e proprio investimento in “previdenza conoscitiva”, alimentato da fondi pubblici (con una prima dotazione di tempo costituita con l’inizio del percorso scolastico) e da investimenti personali al quale attingere per ulteriori percorsi scolastici, formativi, universitari retribuiti.
L’investimento in studio deve risultare premiante.
Per altro ce ne sono tutte le ragioni. Infatti, il rapporto Ocse 2004 sull’educazione “Education at a glance 2004” documenta con chiarezza che i successi educativi e l’innalzamento dell’educazione contribuiscono alla prosperità generale di un paese e favoriscono la crescita economica, nonché la ricerca.
L’impatto a lungo termine nell’area Ocse di un anno aggiuntivo d’educazione va ad accrescere i risultati dell’economia tra il 3 e il 6%.
In Italia, tra il ’90 e il 2000, il contributo dei migliorati livelli educativi alla crescita della produttività del lavoro è stato di 0.58 punti percentuali, la più alta dopo il Portogallo e il Regno Unito tra i 15 paesi con dati comparabili.
5. L’obbligo scolastico
La quinta scelta riguarda l’obbligo scolastico.
Noi rivendichiamo che l'obbligo scolastico sia innalzato fino a 18 anni, in quanto condizione indispensabile per innalzare il livello culturale del nostro Paese e per evitare il rapido scivolamento nelle posizioni marginali dello sviluppo.
E’ una richiesta che viene dal Paese, basterebbe esaminare il fatto che il 95% dei ragazzi e delle ragazze si iscrive alla scuola secondaria e che un numero crescente di giovani punta a completare gli studi secondari. Richiesta che però non riesce ad essere soddisfatta, dati i tassi ancora elevati di abbandoni e di selezione (tra i più alti in Europa).
Parliamo di obbligo scolastico non a caso, dopo che le politiche di questo Governo hanno scardinato ogni praticabilità dell’obbligo formativo riducendolo ad un apprendistato dequalificato.
6. L’educazione degli adulti e l’apprendimento per la vita
La sesta scelta riguarda diversi milioni di adulti e vuole dare una risposta vera al dramma, individuale e collettivo, di un 43% della popolazione adulta a rischio di analfabetismo.
Un numero crescente ed enorme di persone non ha più alcun rapporto con un apprendimento formale.
La scelta che noi rivendichiamo è quella di azzerare l’analfabetismo di ritorno nel nostro Paese.
Secondo l’Istat nel 2003 solo il 10% delle famiglie italiane ha speso qualche euro per l’acquisto di libri. Come ricorda De Mauro, solo nel 25% delle case italiane ci sono più di cento libri. È un dato molto negativo: questa variabile è quella che più influenza il buon andamento a scuola dei ragazzi e condiziona i percorsi di vita e professionali degli adulti.
E’ molto bassa, inoltre, la quota di adulti che partecipano a attività educative o formative. Sono il 4,2% circa, cioè meno della metà della media europea.
E’ un’emergenza nell’emergenza.
Il recente Rapporto sulla povertà testimonia con chiarezza che non tutti gli analfabeti funzionali sono poveri ma che però tutti i poveri sono analfabeti funzionali.
In questo senso le 150 ore, ovvero la possibilità di utilizzare permessi retribuiti, devono essere estese e, per chi non lavora, la frequenza a corsi di istruzione e formazione deve essere incentivata con sgravi fiscali e con facilitazioni.
Analoga considerazione vale per l’università rivolta agli adulti che riprendono un rapporto con lo studio.
Se cresce il livello di conoscenza della popolazione cresce il benessere complessivo del Paese.
In questa direzione un’attenzione particolare agli anziani ed ai loro bisogni di conoscere e sapere, che sovente rappresentano una sorta di recupero su quanto non è stato possibile fare prima, costituisce un investimento importante.
7. La ricerca
La settima scelta intende rivendicare che gli Enti di ricerca siano posti nelle condizioni di operare garantendone l'autonomia, responsabilizzandone la gestione ed ampliando fortemente, al loro interno, il numero di ricercatori giovani e le loro possibilità di qualificato lavoro scientifico.
Rivendichiamo un consistente rifinanziamento sia dei bilanci ordinari degli Enti, sia di quei canali che sostengono direttamente la ricerca di base, il cui sviluppo è stato fortemente compromesso.
Deve essere garantita la continuità nel tempo dell’investimento, perché nessun.
Complessivamente la spesa pubblica per la ricerca deve essere portata al 3%.
Inoltre, è necessario investire sul reclutamento di giovani ricercatori e tecnici incrementando di almeno 20.000 unità l’attuale dotazione, fra le più basse d’Europa.
A livello di sistema nazionale bisogna dare vita all’Assemblea della Scienza e della Tecnologia, formalmente soppressa dal ministro Moratti, il cui scopo è quello di fornire al Governo ed al Parlamento uno strumento per interloquire con l’intera comunità scientifica del Paese.
E’ necessario intervenire con urgenza per invertire il degrado in atto, l’impoverimento scientifico del nostro Paese e una crescente fuga di cervelli che poi, per le condizioni della ricerca nel nostro Paese, non tornano più.
La fuga dei cervelli riguarda anche le condizioni, visto che poi non tornano.
8. Triplicare il numero dei laureati
L’ottava scelta è decisiva per rilanciare la qualità nel nostro Paese e ci porta a rivendicare la necessità di politiche attive per triplicare il numero dei laureati.
L’Italia ha una quota di laureati che è la metà di quella degli altri paesi europei di pari peso demografico: 70.000 invece che 150.000. Fino a pochi anni fa si laureava solo il 30% degli iscritti al primo anno: una selezione selvaggia. Ora la percentuale dei laureati è del 50%.
L’Ocse nel suo rapporto “Education at a glance 2004” ci attribuisce un tasso d'ingresso del 50%, a livello della media, ma quasi il 60% di coloro che entrano all’Università non arrivano ad ottenere un titolo, cosa che rappresenta il più alto tasso di drop-out tra i paesi Ocse.
9. Il lavoro
La nona scelta, che tutte le ricomprende, riguarda l’imperativo di investire sul lavoro di quanti operano nel settore strategico della conoscenza siano essi docenti siano ausiliari, tecnici o amministrativi.
Formazione, retribuzione, condizioni professionali dignitose, lotta alla precarizzazione, un piano straordinario di reclutamento e immissioni di giovani nelle qualifiche ATA e docenti sono condizioni base.
La precarizzazione forzata di pezzi enormi di categoria è la rappresentazione più devastante di questa condizione.
Dove più la continuità di riferimento e di relazione con gli studenti ha un senso ed un significato, dove l’investimento nel tempo determina la qualità della ricerca e della sperimentazione si sceglie, invece, di introdurre una forte precarietà.
Il 20% nella scuola, il 50% nella ricerca e nell’università sono lavoratori precari. "
Interviene Angela Nava - Presidente del CGD (Coordinamento Genitori Democratici)
"Riconoscimento del ruolo del Sindacato come nodo centrale di una rete su cui convergono e Associazioni,i movimenti, le forze politiche: una sorta di cantieri sociali, un nuovo percorso per la democrazia partecipativa-partecipata.
Voce di un genitore importante oggi perché al mix di familismo e liberismo della Moratti hanno reagito anche i genitori con un movimento spontaneo che chiama la sinistra all'assunzione di responsabilità.
Cosa chiede oggi un genitore? Che il figlio pensi con la sua testa, che abbia le stesse opportunità, che non sia inchiodato alla sua provenienza sociale o geografica. Serve una scuola riformata: non possiamo esimerci da un progetto il più possibile condiviso, da un percorso nelle mani delle persone, nella loro responsabilità.
Una scuola che investa con forza sulla qualità come termine che deve rientrare nel codice linguistico della sinistra e che non può scindersi dall'idea democratica e regolativa della valutazione.
Si prosegue con Triestino Mariniello in rappresentanza dell'UDU (Unione degli universitari)
"La conoscenza rappresenta un diritto individuale e collettivo. Come diritto individuale è uno strumento di emancipazione dell’individuo, fornendogli gli strumenti critici per comprendere i fenomeni e la realtà che ci circonda. Come diritto collettivo, rappresenta un fattore di crescita e benessere di un intero paese, e quindi per questo suo valore, non può che essere pubblico, trovare il suo sostentamento nei finanziamenti pubblici.
col processo di Bologna, il nostro paese, ha deciso di puntare alla costruzione di una società della conoscenza, valorizzando il sapere, le diversità culturali e la coesione dei popoli.
Investire sulla crescita qualitativa come presupposto ad una crescita quantitativa. Ma il governo, va in direzione opposta, costruzione un modello socio-economico fondato su precarizzazione e tagli dei diritti. Questo è avvenuto sul diritto del lavoro, questo è avvenuto sul sistema pubblico formativo. Fa questo effettuando una politica di disinvestimento sull’alta formazione: tagli ai fondi di finanziamento ordinario, blocco delle assunzioni, pagamento degli aumenti stipendiali, nel 2002, hanno messo in ginocchio gli atenei costringendoli ad aumentare i contributi a carico degli studenti.
Emana un’altra riforma della didattica a tre anni da quella precedente, una riforma classista tesa costruire un sistema sempre più selettivo sin dalla fine del primo anno.
Cerca col ddl Moratti di distruggere la ricerca eliminando la figura del ricercatore.
Costruire un fronte comune per chiedere il ritiro immediato di queste riforme, un fronte comune di mobilitazione non mostrandosi più possibilisti con un governo che non cerca il confronto di nessuno. Ma bisogna anche guardare avanti, costruendo proposte anche a lungo termine.
Prima di tutto la copertura finanziaria delle riforme, poi costruzione di un welfare studentesco, con finanziamenti pubblici adeguati a coprire le borse di studio per gli studenti meritevoli privi di mezzo. Costruzione di un’università aperta in cui l’autonomia sia una ricchezza e non un pretesto per tagliare i fondi. In questo processo bisogna ascoltare sempre le parti sociali: studenti, ricercatori, personale tecnico-amministrativo, docenti e rettori. Inoltre dobbiamo chiedere il ritiro della legge 264 del 99, che stabilisce il numero chiuso.
A tal proposito l’UDU organizza dal 25 al 29 una settimana dei diritti degli studenti ogni giorno parleremo nelle facoltà di un diritto: dal diritto alla casa a quello alla cultura, alla mobilità, all’assistenza sanitaria; settimana in cui presenteremo la nostra piattaforma sul diritto allo studio.
Inoltre il 17 novembre abbiamo lanciato al Social Forum di Londra giornate internazionali di mobilitazione degli studenti: medi ed universitari tutti insieme in tanta assemblee e manifestazioni, in tantissime città, in cui lanceremo due appelli su diritto allo studio e percorsi formativi."
E' ora il turno di Fabrizio Dacrema del Dipartimento Formazione e Ricerca Cgil
"Un programma della CGIL sulla formazione e la ricerca risponde all’esigenza di non limitarsi alle enunciazioni di principio in materia e di dimostrare, a fronte del fallimento delle politiche governative che un’altra riforma è possibile.
L’autonomia del sindacato si fonda sulla proposta, nel dichiarare il proprio punto di vista e nel perseguirlo con gli strumenti propri dell’azione sindacale.
Le politiche del governo falliscono e incontrano vasto dissenso perché non rispondono ai bisogni del paese.
La crescita economica bloccata e la rinuncia a perseguire l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori da parte di Confindustria rivelano il fallimento del progetto di ridare competitività al paese attraverso la riduzione dei diritti, dei redditi e del welfare.
Allo stesso modo le difficoltà di attuazione dei provvedimenti governativi sulla scuola e la formazione, a causa del crescente dissenso e del successo della nostra azione di contrasto, mette in luce che il progetto di puntare su alti livelli formativi per pochi è sbagliato.
La strategia di Lisbona e lo sviluppo dell’economia della conoscenza è l’unica strada che il paese ha a disposizione per tornare a crescere, per questo deve puntare su un modello di specializzazione produttiva più avanzato e sulla valorizzazione del capitale umano.
Da questa consapevolezza deriva il cuore della nostra proposta: costruire un sistema formativo pubblico inclusivo che punti a portare tutti ai più alti livelli di istruzione e formazione e assicuri a ogni cittadino una solida formazione culturale di base.
La formazione è contemporaneamente risorse per la democrazia e risorsa per lo sviluppo: deve sviluppare cittadinanza attiva e libertà della persona e deve fornire le competenze professionali e la qualità delle risorse umane necessarie allo sviluppo economico.
Sbaglia la Moratti, con la canalizzazione precoce e il modello duale, a dividere i due aspetti perché una solida formazione culturale di base è essenziale per il lavoro post-fordista (che sempre più chiede autonomia, responsabilità, trasversalità, creatività) e condizione indispensabile per la prosecuzione del rapporto con la formazione lungo tutto l’arco della vita.
Per queste ragioni l’obbligo scolastico deve essere innalzato, i servizi educativi e la scuola dell’infanzia devono essere ampliati e generalizzati, la scuola primaria e il tempo pieno devono essere difesi, la continuità educativa deve essere rafforzata, il biennio della secondaria superiore deve essere obbligatorio e unitario in alternativa alla canalizzazione precoce della Moratti.
Il rapporto della scuola con la cultura del lavoro non deve essere considerato in alternativa alla formazione culturale di cittadinanza, ma una forma di arricchimento, integrazione, diversificazione dell’offerta.
L’apprendistato deve diventare un istituto contrattuale a prevalente finalità formativa, garantendo consistenti quote di formazione formale.
Occorre un piano di formazione permanente per ridurre le sacche di analfabetismo e semi-analfabetismo, che oggi coinvolgono in 38% della popolazione italiana.
Deve partire un vasto programma di formazione continua dei lavoratori, utilizzando a pieno e in modo integrato."
Interviene Daniela Fabbrini Segretaria generale FLC Cgil di Pisa
Questa giornata, importante anche per l’apertura alla discussione con gli studenti ed i genitori, è stata convocata anche per una riflessione approfondita sui grandi problemi che ci attraversano e che puntualizzeranno il nostro prossimo futuro, in un particolare momento politico ed economico sottolineato dalla relazione introduttiva e dalle conclusioni di stamani del nostro Segretario Generale.
Il quadro nel quale ci muoviamo è molto preoccupante e contraddistinto da un particolare accanimento del governo verso tutti i settori pubblici, con toni accesi sui settori della scuola, università, ricerca.
Il governo ha un’idea dello Stato non come depositario e garante dell’universalità di diritti fondamentali di cittadinanza fra i quali noi mettiamo anche quelli della formazione e della cultura.
Il governo vede lo Stato come una struttura organizzativa che debba offrire solo un supporto alle scelte individuali dei singoli cittadini.
Persegue infatti la scelta di rendere residuale il servizio pubblico taglia i finanziamenti e gli investimenti, limitando la possibilità di erogati tutti i servizi, costringendo all’uso delle esternalizzazioni, per diminuire gli spazi di autonomia ed aumentare il controllo politico investe i settori scuola, università, ricerca in controriforme che scardinano il ruolo e l’organizzazione delle istituzioni, creando confusione e disorientamento in coloro che ne vogliono usufruire e fra coloro che vi operano. Persone che hanno aperto ormai da più di un anno il loro disagio in grandi manifestazioni, scioperi in ultimo la sollevazione del personale tutto negli Atenei, con gli studenti, contro il decreto sullo stato giuridico e contro il disegno di smantellamento delle istituzioni. Si fanno lezioni e lauree in piazza, assemblee itineranti, manifestazioni regionali per portare il disagio e la disapprovazione all’esterno, fra i cittadini il governo blocca le assunzioni aumentando l’uso del lavoro a tempo determinato e non convenzionale, ottenendo una divisione fra i lavoratori contrattualizzati e non, con diritti e non crea una spaccatura fra gli strutturati attraverso leggi, come è successo negli enti di ricerca con i ricercatori ed i tecnologi inseriti nell’area della dirigenza cerca di istituzionalizzare la destrutturazione del lavoro introducendo per legge figure flessibili di lavoro mette in discussione il sistema contrattuale, volendo inserire una attribuzione individuale di parte della retribuzione senza prevedere alcune forme di contrattazione collettiva.
La situazione contrattuale è semplicemente scandalosa.
Il contratto università è tenuto in ostaggio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal luglio scorso. E’ da notare che si tratta del biennio economico 2002-2003 quindi nel momento in cui verrà firmato definitivamente sarà già scaduto da un anno.
Con l’inserimento per legge dei ricercatori e tecnologi in un’area dirigenziale, sulla quale la CGIL ha dato e continuerà a dare valutazione negativa perché convinta della giustezza dell’esistenza delle due reti di ricerca, il contratto ricerca è rivolto solo al personale tecnico amministrativo e non è stato ancora aperto il confronto col comitato di settore. Contratto anche questo scaduto il 31.12.2001 e che ha visto la CGIL presentare una ipotesi separata da Cisl e Uil.
Questa situazione oltre a penalizzare fortemente il potere d’acquisto delle retribuzioni, mette in discussione l’apertura e la chiusura dei contratti, cercando di diminuire il ruolo del sindacato.
E’ stato inoltre limitato l’elettorato attivo per le prossime elezioni RSU (ne abbiamo parlato stamani), negando il diritto di voto al personale a tempo determinato, al personale precario e ai ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca.
Togliere un diritto che ogni lavoratore dovrebbe avere di scegliere il proprio rappresentante, ne annulla di fatto la presenza, il ruolo nella organizzazione del lavoro, la visibilità come lavoratore e cerca di rendere meno rappresentativi gli eletti.
Molto frustrante per chi vive questa situazione, insieme al fatto di lavorare, da una parte senza certezze, dall’altra essendo ben coscienti di rappresentare la metà del personale operante nelle strutture.
E’ per questo motivo che come CGIL abbiamo preso l’impegno, insieme con i candidati presentati nelle nostre liste, di fare diventare parte attiva nelle contrattazioni e nelle riunioni, quei lavoratori, ricercatori e precari, ai quali è stato precluso il diritto al voto.
Ci presenteremo nelle elezioni RSU come FLC. Questa sarà un nostro punto di forza perché implica una scelta politico-sindacale significativa e forte, che va contro il disegno del governo, perché convinti che questa federazione ricompone il settore della formazione, conoscenza, ricerca in un ciclo unico per rafforzare la rappresentanza, aumentare le capacità di intervento, aumentare la capacità di elaborazione con l’integrazione delle varie realtà e conoscenze.
Con la piena consapevolezza del quadro generale le nostre proposte devono essere riempite e questo ci porta alla discussione che dovremo sviluppare a partire da oggi su tanti temi, molti dei quali ricordati da Panini nella sua introduzione:
I lavori della giornata vengono chiusi dall'intervento di Guglielmo Epifani
"A conclusione della giornata di oggi, parto dal punto fondamentale per noi e per il Paese, ed è quello che i temi della formazione e della conoscenza hanno sempre più centralità.
Si registra un salto di qualità importante nel dibattito politico: fino a qualche anno fa formazione e conoscenza erano un aspetto importante della competitività e della cittadinanza, oggi rappresentano il fattore decisivo per garantire competitività e diritto di cittadinanza.
Così come la mobilità sociale dal basso verso l’alto è assicurata solo dalla formazione e dalla conoscenza, e questo significa porre nuovi termini per realizzare il diritto all’uguaglianza.
Il Paese deve essere in grado di cambiare le proprie coordinate, altrimenti sconterà una lunga fase di declino. Oggi l’Italia è un paese che soffre una stagnazione economica che la pone agli ultimi posti dei paesi in crescita: il 2004 segna infatti la crescita più alta per molti paese europei e non, l’Italia è fra gli ultimi 3 paesi.
Non riusciamo ad essere competitivi sui mercati esteri e i consumi interni segnano una limitatissima crescita, siamo un paese che non ha sviluppo.
Rispetto all’accordo del ’93, le spese per la ricerca sia pubblica che privata sono diminuiti notevolmente, solo le prime 10 più grandi imprese fanno ricerca e la percentuale della ricerca pubblica è pari allo 0,5%, totalmente lontana da quella degli altri paesi: il 6-7% dei paesi scandinavi, ma anche quella di Stati Uniti e Cina dove c’è un rapporto stretto fra crescita e ricerca. Quello che viviamo oggi è il nostro futuro, da qui l’esigenza del cambiamento.
Sta qui la vera grande forza del movimento che insieme alla CGIL ha segnato questi anni.
Rispetto all’agenda di Lisbona, il nostro paese si è allontanato dai suoi obiettivi, a metà del percorso che ci separa dal 2010, ci stiamo già allontanando, di questo passo arriveremo al 2010 in condizioni peggiori di quando siamo partiti.
Scuola, formazione, università e ricerca non sono parti separate, ma pezzi di un unico sistema che deve avere riferimenti certi, visti come parti separate, tutte in sofferenza, compongono un sistema in dissoluzione.
Leggiamo tutto ciò anche nelle condizioni di lavoro: precarietà, incertezza nei contratti di lavoro riguardano principalmente le categorie dei lavoratori della formazione della conoscenza.
Di fronte a tutto ciò c’è l’esigenza di rendere centrali questi settori, pensare un programma fare una mobilitazione chiamando a partecipare tutti i soggetti sociali che a vario titolo gravitano intorno
Ci sono nel bilancio sociale spese che possono essere rinviate, mentre devono essere implementate le spese sociali.
Questa finanziaria non differisce nel segno da quelle che l’hanno preceduta. Enrico Panini ha definito con chiarezza e completezza i titoli e lo spirito che deve animare un progetto alternativo.
Abbiamo avuto critiche ingenerose e immotivate, ma penso che noi abbiamo fatto un gesto di responsabilità e coerenza.
Il nostro congresso con cui ci siamo definiti un sindacato di programma, voleva intendere che noi vogliamo segnare la nostra autonomia dalle forze politiche.
Ci hanno chiesto perchè abbiamo presentato le nostre proposte all’opposizione e non al Governo, ma noi le facciamo tutti i giorni al governo che sbaglia tutto e non prova nemmeno ad ascoltare.
Il problema è che cosa intendano fare i destinatari delle nostre proposte.
Siamo consapevoli che il nostro è solo uno dei tanti contributi, ma vogliamo misurarci con gli altri, sapendo che la politica è anche mediazione e compromesso.
Non pensiamo che le abrogazioni lascino dei vuoti che non si possano sostituire con dei pieni che corrispondono alle nostre proposte.
Ma noi abbiamo il dovere di dire con chiarezza il nostro progetto alle persone con cui vogliamo condividere un percorso di ricostruzione che richiederà dei sacrifici. Se siamo convinti che il nostro paese stia degradando abbiamo il dovere di dare una prospettiva forte di cambiamento."