La vertenza punto per punto
ARTICOLO 18 -
LAVORO -
MEZZOGIORNO -
FISCO
ISTRUZIONE E FORMAZIONE
-
PREVIDENZA -
SANITA'
ARTICOLO 18
Il
disegno di legge delega approvato dal Governo è ispirato al
criterio dell’abbassamento delle tutele non solo laddove punta a
smantellare il cardine fondamentale rappresentato dalla
reintegrazione sul posto di lavoro dei lavoratori licenziati senza
giusta causa (l’articolo 18 dello Statuto dei
Lavoratori) ma anche in tutta la parte di proposte in materia di
rapporti di lavoro flessibile. L’impronta è quella della
precarizzazione dei rapporti di lavoro, della prevalenza del
rapporto individuale sulla contrattazione collettiva, della
riduzione del rapporto di lavoro a rapporto commerciale privando
il lavoratore della protezione cui oggi ha diritto in quanto parte
contraente debole.
Per la
CGIL è centrale la richiesta di stralciare dal disegno di legge
delega approvato dal Governo l’articolo 10 contenente la
sostanziale abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori e l’articolo 12 che promuove l’arbitrato senza vincolo
di legge o contratto in materia di lavoro.
LAVORO
- Occupazione
In
Italia ci sono due milioni di disoccupati.
Oltre
1.200.000 lo sono da più di dodici mesi. Solo un disoccupato su
tre ha un sostegno al reddito. Salvo rare eccezioni, la
condizione è che abbia lavorato negli ultimi sei mesi.
Il
sostegno consiste nel 40% dell’ultima retribuzione (30% per gli
stagionali che hanno maturato solo i requisiti ridotti) per un
massimo di sei mesi. La spesa media per ogni beneficiario è stata
nel 1999 (ultimo dato disponibile) di lire 6.616.246 lorde.
Meno del
10% dei disoccupati di lunga durata riceve una qualche formazione
professionale finanziata con fondi pubblici.
I giovani
disoccupati, di meno di 24 anni, sono più di un milione e solo un
quarto di essi riceve una formazione professionale o una
istruzione scolastica.
Una
politica dell’impiego che rispetti le indicazioni della strategia
europea per l’occupazione deve combinare in modo appropriato
politiche attive di promozione dell’accesso al lavoro e politiche
passive di sostegno al reddito.
Il
disegno di legge delega approvato dal Governo non risponde a
nessuno di questi criteri e non risolve nessuno di questi
problemi.
Quanto
alle politiche attive, si configura un ruolo esclusivamente
residuale per i servizi pubblici all’impiego e si lancia l’idea di
spostare tutto l’intervento sul mercato. Coerentemente con questa
impostazione nella Finanziaria 2002 gli stanziamenti destinati
alle Province a questo titolo sono stati decurtati: sia quelli per
l’avvio dei centri (100 miliardi) che quelli derivanti dal
risparmio di spesa per la stabilizzazione degli LSU.
La
CGIL chiede che sia assicurato il sostegno finanziario minimo da
parte dello Stato per far partire i servizi per l’impiego,
sulla scorta di quanto richiesto anche dall’UPI. Il fabbisogno per
-
informatizzazione,
-
locali e
attrezzature,
-
formazione degli addetti,
-
nuove
assunzioni di personale
misurato
sull’esigenza di rispondere ai parametri fissati dall’Unione
Europea), è stimato in 1.000 miliardi aggiuntivi rispetto allo
stanziamento attuale, da sommare alla dotazione del Fondo Sociale
Europeo. Una quota di risorse di entità grosso modo corrispondente
è a carico delle Province.
Quanto
alle politiche di sostegno al reddito, il Governo ha deciso di non
onorare gli impegni pluriennali che i precedenti Governi avevano
assunto in direzione di un rafforzamento delle tutele e di
lasciare invariata la situazione attuale: copertura al 40%
dell’ultima retribuzione per la disoccupazione industriale
ordinaria (del 30% per quella a requisiti ridotti) per soli sei
mesi.
La
CGIL chiede che sia garantito a tutti i disoccupati
un sostegno al reddito pari al 60% dell’ultima retribuzione,
indipendentemente dai requisiti maturati, per un periodo di un
anno, incrementabile per particolari situazioni, e un reddito
vitale minimo pari alla quota esente da imposizione.
Una
misura di questa portata comporta un onere annuo tra i 30 e i 35
mila miliardi, con il tasso di disoccupazione attuale.
L’incremento rispetto alla spesa attuale è tra i 10 e i 12 mila
miliardi.
In
un’ipotesi di gradualità di 3 - 5 anni, lo stanziamento iniziale
dovrebbe essere pari almeno a metà: tra i 5 e i 6 mila miliardi, a
carico del bilancio dello Stato già da quest’anno.
Non è del
resto immaginabile un incremento degli oneri contributivi, se non
per le imprese oggi esenti che invece, in un’ipotesi di copertura
universale, dovrebbero essere soggette ad imposizione.
La
CGIL chiede inoltre che sia estesa ai settori oggi esclusi la
copertura dal rischio di riduzione temporanea di occupazione per
ristrutturazione o per crisi contingente, in costanza di rapporto
di lavoro, con un finanziamento su base contributiva integrativo
della quota universale a carico dello Stato.
La
contribuzione dovrà essere:
-
commisurata al rischio, per macro-settori;
-
rapportata
alla differenza tra la copertura base offerta dal trattamento di
disoccupazione e quella (80%) da assicurare in queste
particolari evenienze, mantenendo in vigore una forma di
prelievo straordinario a carico delle imprese che ricadano nella
situazione di crisi.
Per i
casi di esuberi strutturali, la CGIL chiede che siano mantenute
sostanzialmente invariate le procedure attualmente vigenti per la
mobilità,
sia per ciò che riguarda la convalida della sussistenza della
situazione di crisi, sia per il sostegno al reddito ricalcando,
quanto a misura e procedure, quelle per crisi contingenti.
Si
dovranno inoltre prevedere specifiche procedure di concertazione a
livello territoriale per la gestione della ricollocazione
professionale dei lavoratori in esubero, con un coinvolgimento
diretto delle imprese nelle quali si verificano tali circostanze
sia per ciò che riguarda l’attivazione degli strumenti di
riqualificazione professionale e le altre forme di intervento
attivo, sia per ciò che riguarda un contributo, sotto forma di
prelievo straordinario, al finanziamento del sostegno al reddito.
Nel
rispetto del criterio della separazione contabile e gestionale
della previdenza dall’assistenza il Fondo per il sostegno al
reddito dei disoccupati, secondo le linee qui descritte, dovrebbe
avere una gestione autonoma o, al limite, separata da quella della
AGO.
In un
contesto di promozione dell’accesso al lavoro è fondamentale il
ruolo della formazione, strumento di politica attiva per
eccellenza. Il disegno di legge delega approvato dal Governo da
questo punto di vista è assolutamente insoddisfacente in quanto
non dà risposta all’esigenza di riforma degli attuali contratti a
causa mista, mantenendo in piedi sovrapposizioni e ambiguità che
tendono a perpetuare un loro uso opportunistico.
Per la
CGIL occorre rivedere completamente i rapporti di lavoro a
contenuto formativo, sia quanto alle norme che li regolano sia per
ciò che riguarda il sistema di incentivazione. Si devono prevedere
due soli istituti:
l’apprendistato, per i giovani fino a 24 anni (29 se laureati)
il
contratto di inserimento per gli adulti con difficoltà di
collocamento
-
disoccupati di lunga durata,
-
donne
che rientrano nel mercato del lavoro,
-
over 55,
-
altre
fasce di esclusione sociale da individuare regionalmente.
L’incentivo deve essere rivolto esclusivamente a alleggerire gli
oneri di formazione effettivamente sostenuti e a promuovere la
stabilizzazione a tempo indeterminato (a tempo pieno o parziale,
il secondo purché su base volontaria).
La legge
deve regolare i requisiti per l’accesso al finanziamento e dunque
gli standard formativi minimi e l’obbligo delle ore di formazione
esterna previste dalla legge vigente..
Deve
inoltre fissare tutele inderogabili a protezione del lavoro dei
minori e a salvaguardia del peculiare contenuto formativo per loro
richiesto in costanza di obbligo formativo.
Per il
resto la regolazione dei rapporti di lavoro può essere demandata
alla contrattazione collettiva di categoria dei lavoratori
dipendenti.
- Lavoratori atipici e discontinui
La quota
di lavoratori cosiddetti atipici sull’occupazione è aumentata in
modo molto consistente in questi ultimi anni anche per effetto di
un’assenza di regole tali da assicurare una tutela efficace di
queste forme di rapporto di lavoro.
Nonostante generiche affermazioni di principio in favore della
estensione di tutele alle aree oggi meno tutelate, il disegno di
legge delega approvato dal Governo lascia senza risposta le
esigenze di queste aree di lavoratori ed aumenta semmai a
dismisura il menù di opzioni flessibili a disposizione dei datori
di lavoro senza ristabilire in nessun modo un bilanciamento di
diritti ed una protezione.
La
CGIL rivendica che per tutti i lavoratori economicamente
dipendenti, quale che sia la forma specifica che regola la
prestazione, siano previste e rese concretamente esigibili le
tutele fondamentali previste dalla Costituzione in materia di
libertà personali, diritti sindacali, salute e sicurezza,
retribuzione, assistenza e sicurezza sociale,
così come
era stato tentato di fare come primo passo nella scorsa
legislatura con il disegno di legge Smuraglia relativo ai
collaboratori coordinati e continuativi, incontrando l’opposizione
violenta e pregiudiziale di Confindustria e delle forze politiche
dell’allora opposizione.
In
un’ottica di estensione di tutele tipiche del lavoro subordinato a
sostegno di situazioni di discontinuità lavorativa e di incertezza
quanto a responsabilità delle controparti, occorre intervenire
anche su:
-
sostegno al reddito: nei periodi di assenza di commesse vale la
regola generale per il sostegno al reddito dei disoccupati; si
devono inoltre individuare le forme di prelievo contributivo e/o
fiscale, rivedendo in questa ottica le norme della Finanziaria
2002 in modo che il maggiore carico contributivo sia finalizzato a
questo scopo
-
formazione: occorre inoltre istituire un Fondo di entità
paragonabile a quello sul lavoro temporaneo, con modalità di
gestione affidate alla rappresentanza dei lavoratori
parasubordinati, non essendo date le condizioni per forme di
bilateralità stante le caratteristiche della committenza ben
diverse da quelle di un datore di lavoro;
-
previdenza: occorre garantire la copertura previdenziale pubblica
per i periodi di non lavoro e l’accesso a forme di previdenza
complementare;
-
assistenza: occorre garantire, con forme specifiche, l’effettività
di alcuni diritti riconosciuti in forma universale a chi lavora,
quale il reddito garantito nel periodo pre e post parto ovvero il
sostegno per i carichi familiari.
- Sommerso
La legge
approvata dal Governo per il condono del sommerso si è rivelato un
fallimento, come la CGIL aveva puntualmente previsto dato il
carattere esclusivamente tributario, la totale assenza di
meccanismi contrattuali e la mancanza di soluzioni eque al
problema dei diritti indisponibili dei lavoratori in materia
retributiva e pensionistica.
Una
strategia efficace contro il sommerso resta invece un tassello
fondamentale di qualunque politica a favore dell’occupazione,
della qualità del lavoro, della legalità. I fatti hanno dimostrato
come fossero falsi e strumentali i proclami di Confindustria in
questa materia, volti solo a lucrare condoni e sanatorie.
Per la
CGIL occorre riprendere il cammino interrotto, mettendo di nuovo
al centro della lotta al sommerso la contrattazione collettiva e
ripristinando le condizioni necessarie di funzionalità degli
organi di vigilanza e di controllo.
Esaurita
ormai la fase dei contratti di riallineamento retributivo, la
contrattazione deve coinvolgere gli altri attori locali nel
disegnare percorsi di emersione sostenuti e aiutati con incentivi
alla legalità che siano anche di sostegno alla competitività e che
abbiano al centro un’offerta adeguata di infrastrutture e servizi:
dai locali alla logistica, dalla compatibilità ambientale alla
messa a norma per la sicurezza, dall’accesso al credito alla
gestione amministrativa, dallo snellimento delle procedure
burocratiche alla protezione dalla criminalità.
E’ solo
all’interno di questi processi che possono trovare posto, in
termini efficaci e non controproducenti, gli incentivi di
carattere fiscale a carico dello Stato.
- Flessibilità
Occorre
ristabilire le condizioni di rispetto rigoroso dei principi
fissati nelle direttive europee tornando al criterio del giusto
bilanciamento di flessibilità e tutele che ha permesso
significativi avanzamenti nella situazione dell’occupazione negli
anni tra il 1999 e il 2001.
Per la
CGIL deve pertanto essere rivisto il decreto legislativo in
materia di contratti a tempo determinato ripristinando le norme
che assegnano un ruolo centrale alla contrattazione e che
vincolano il ricorso a questa forma di rapporto di lavoro alla
sussistenza di ragioni oggettive.
Occorre
inoltre confermare il quadro di regole stabilito per il lavoro
part-time. Per rimuovere le rigidità che tuttora si frappongono
alla sua diffusione, occorre completare il quadro introducendo due
norme-chiave, tuttora assenti nel nostro ordinamento benché di
fondamentale importanza anche alla luce delle esperienze dei
nostri partner europei dove il ricorso a questa forma di lavoro si
è diffusa maggiormente:
-
il
riconoscimento del trattamento di disoccupazione nei casi di
part-time verticale per i periodi non lavorati;
-
il divieto
per le aziende di frapporre rifiuto, ovvero di porre tetti
quantitativi massimi, a eventuali domande di conversione di
rapporto da tempo pieno a tempo parziale,
a meno di
ostacoli tecnico organizzativi insormontabili da parte
dell’impresa, documentabili e con onere di prova a carico, ferma
restando la reversibilità in base al principio della volontarietà.
Deve
inoltre essere finanziata la norma della legge Treu (articolo 13
della legge 196/97) che incentiva le rimodulazioni di orario n
diminuzione con aumento di occupazione.
MEZZOGIORNO
Le
politiche mirate per il Mezzogiorno vanno collocate in un'idea
dello sviluppo complessivo del Paese fondata sulla sua qualità
alta. Il silenzio del Governo sul Mezzogiorno, registrato prima
con la manovra dei 100 giorni e poi con la Finanziaria, è
assordante.
Il
disegno della Confindustria e del Governo punta soltanto a
precarizzare e a dequalificare il lavoro al Sud basandosi sulla
tesi infondata, quanto sciagurata, secondo la quale l'occupazione
del Mezzogiorno possa aumentare solo a condizione che si deroghi
dai diritti fondamentali, a partire dalla libertà di
licenziamento.
La
crescita e lo sviluppo del Mezzogiorno ha bisogno di una
affermazione piena della legalità e un preciso contrasto alla
criminalità e alla mafia.
Non giova
a questo fine l'aggiramento della legge Merloni e delle
prerogative delle istituzioni pubbliche che si prefigge la
Confindustria con le Fondazioni che dovrebbero attivare progetti
infrastrutturali nel Sud.
La
CGIL rivendica nei confronti del Governo, delle Regioni e delle
Organizzazioni imprenditoriali una svolta espansiva nella politica
di sviluppo del Mezzogiorno non affidata esclusivamente ai
meccanismi del mercato, ma articolata su adeguati interventi di
sostegno alla domanda e al sistema produttivo e dei servizi.
Occorrono
politiche per la ricerca, l'innovazione, il rafforzamento della
dotazione infrastrutturale.
In
particolare sono urgenti politiche di riequilibrio dello sviluppo
e quindi interventi mirati per il Sud e le aree depresse
attraverso:
-
il
ripristino del flusso di finanziamento di risorse per la
programmazione negoziata e le politiche di incentivo a favore
delle aree depresse;
-
un
progetto di infrastrutture materiali e immateriali (viabilità,
alta capacità ferroviaria, portualità, logistica, energia
idrica, telecomunicazioni);
-
l'utilizzo
corretto e tempestivo dei Fondi comunitari;
-
un
programma di attrazione al Sud di investimenti, dalle aree
sature del Nord e dall'estero sostenuto da forti incentivazioni,
come la possibilità di cumulare il credito d'imposta per il Sud
alla Tremonti bis.
FISCO
La legge
delega sul fisco non è stata oggetto di confronto con il
sindacato.
Ciò è di
eccezionale gravità per le strette connessioni che esistono tra
politica fiscale e politica dei redditi e per le ricadute che
deriveranno, da questo provvedimento, sulle condizioni economiche
e di vita dei lavoratori e dei pensionati.
La delega
apre uno scenario preoccupante e, privilegiando in maniera
fortemente sperequata i ceti più abbienti, infligge una ferita
profonda alla coesione e alla giustizia sociale.
La delega
è priva dei principi minimi necessari a indirizzare il Governo
nella emanazione dei decreti legislativi. Essa tranne per
l'imposta sulle società, appare essere sostanzialmente in bianco e
quindi spossessa il Parlamento di una delle sue funzioni
essenziali: quella di decidere sulle tasse che devono pagare i
cittadini. Il disegno di legge è privo di copertura e quindi c'è
il rischio che le riduzioni fiscali promesse o non siano
realizzate, a causa di una mancata crescita delle basi imponibili
in grado di compensare la perdita di gettito, o comportino, in una
successiva fase, la riduzione della spesa pubblica. La relazione
alla delega, infatti, ipotizza una drastica riduzione del
perimetro dell'intervento pubblico e, in particolare, del welfare.
In
materia di IRPEF la delega prevede due soli scaglioni con aliquota
al 23 per cento fino a 100 mila euro e al 33 per cento, oltre.
Questa impostazione, che annulla la progressività, non trova
paragoni nella UE e negli stessi Stati Uniti. La delega inoltre
non indica criteri chiari né sulla determinazione delle soglie
esenti, né sul sistema di deduzioni che dovrebbe sostituire
l'attuale sistema di detrazioni. La proposta inoltre, non prevede
una specifica deduzione supplementare per i lavoratori dipendenti
che oggi godono di detrazioni più consistenti di quelle dei
lavoratori autonomi (che possono portare in deduzione analitica le
spese di produzione di reddito). Tutte le simulazioni effettuate,
anche nel caso di ingenti perdite di gettito, vedono penalizzati i
redditi degli operai, degli impiegati e dei pensionati, mentre i
maggiori benefici si concentrano sui contribuenti più ricchi.
In questo
modo il disegno di legge viola i principi di solidarietà e di
uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione e quello di
progressività di cui all'art. 53 della nostra Carta fondamentale.
La delega inoltre, non affronta il problema di milioni di soggetti
incapienti che, a motivo del basso livello di reddito, non possono
fruire di deduzioni e detrazioni.
Per la
CGIL è fondamentale che:
-
la
riduzione dell'imposizione privilegi pensionati e lavoratori a
reddito medio-basso; occorre pertanto un giusto numero di
scaglioni e di aliquote e un'aliquota massima superiore al 40%;
-
la
riduzione del prelievo statale non produca, attraverso l'aumento
dell'imposizione locale, un incremento di quello complessivo;
-
la
riduzione della pressione fiscale non comporti il sacrificio
delle politiche sociali, di quelle per l'istruzione e la
formazione, degli interventi per lo sviluppo e la ricerca. La
spesa sociale va, anzi, riqualificata e aumentata al livello
medio europeo per finanziare il Reddito Minimo di Inserimento,
politiche per l'autosufficienza degli anziani, la riforma degli
ammortizzatori sociali.
La
CGIL chiede pertanto di indicare le soglie individuali e familiari
di esclusione dall'imposizione determinando con precisione il
quadro delle detrazioni e deduzioni con particolare riferimento ai
minori, ai portatori di handicap, al lavoro di cura e di
assistenza, alla formazione.
Per la casa va stabilita parità di trattamento fiscale tra
proprietari ed inquilini. Una specifica attenzione va riservata ai
pensionati prevedendo il rafforzamento e l'estensione di
specifiche detrazioni commesse all'età finalizzati anche al
recupero del potere di acquisto delle pensioni.
La
CGIL rivendica inoltre la previsione di specifiche detrazioni per
le spese di produzione di reddito sostenute dai lavoratori
dipendenti e dai collaboratori coordinati e continuativi. e la
previsione di un credito di imposta compensabile e/o rimborsabile
per i contribuenti che non siano in condizione di fruire
completamente di deduzioni e detrazioni.
In
materia di evasione fiscale il ministero dell'Economia e delle
Finanze stima in circa 150 miliardi di euro l'imponibile evaso.
Invece di introdurre misure forti per ridurre il livello di
illegalità fiscale, il Governo annulla la punibilità del reato di
evasione fiscale anche per le violazioni di maggior rilevanza e
introduce il concordato preventivo triennale che rischia di
rendere inefficaci gli studi di settore.
La
CGIL chiede che la delega venga integrata con una specifica
attenzione all'amministrazione finanziaria e da normative che
consentano un efficace contrasto dell'evasione e dell'elusione
fiscale.
Quanto
alla tassazione delle rendite finanziarie, la CGIL condivide la
proposta di omogeneizzare l'imposizione su tutti i redditi di
natura finanziaria ma respinge la proposta del Governo di
un'aliquota unica al 12,5 per cento che finirebbe col dare un
ulteriore colpo alla progressività sostanziale del sistema fiscale
. L'aliquota unica va fissata ai livelli medi europei e in misura
non inferiore a quella prevista per il primo scaglione Irpef.
In
materia di tassazione e sviluppo la riforma contenuta nella delega
non si pone l'obiettivo di rendere finanziariamente più forti le
imprese italiane e più sviluppati i nostri mercati finanziari.
La
CGIL rivendica un sistema di fiscalità di impresa che premi chi si
patrimonializza, chi fa ricerca, chi innova, per innalzare in
termini qualitativi la competitività dell'apparato produttivo del
Paese. La CGIL rivendica altresì, la riduzione del cuneo fiscale e
contributivo che grava sul lavoro, dando priorità al lavoro
dequalificato così come suggerito dall'Unione Europea.
Il
Governo, sul punto cruciale del federalismo fiscale, non avanza
nessuna proposta, mentre occorre provvedere con urgenza alla
normativa nazionale di coordinamento della fiscalità locale
prevista dall'art. 119 della Costituzione come recentemente
modificato. Occorre infatti che i diritti sociali di cittadinanza
siano uguali a prescindere dalla regione in cui si risiede. In
questo quadro la soppressione dell'Irap (imposta a cui è affidata
parte rilevante del finanziamento del Servizio Sanitario) apre
enormi problemi di ordine costituzionale e finanziario.
La
CGIL rivendica certezza di finanziamento per il Servizio Sanitario
Nazionale: l'Irap non va soppressa, ma riformata a favore delle
piccole imprese e, soprattutto, delle imprese a più alta intensità
di lavoro.
ISTRUZIONE E
FORMAZIONE
Sull’istruzione e sulla formazione si sono concentrati in pochi
mesi oltre una decina di provvedimenti tesi a modificare tutto
l’impianto riformatore definito negli anni scorsi ed in corso di
attuazione.
I filoni
di intervento possono essere così riassunti:
-
Un
consistente sostegno alle scuole private (trasferimento di
risorse; utilizzo delle risorse riservate alla scuola statale;
privilegi normativi che le rendono più forti rispetto a quelle
di stato; assenza del benché minimo controllo; immissione in
ruolo di 20.000 docenti di religione cattolica con requisiti
decisi dall’autorità ecclesiastica; revisione degli esami di
stato);
-
Blocco dei
processi di integrazione tra istruzione e formazione e
disinteresse per una formazione rivolta all’intero arco di vita
delle persone;
-
Ostacoli
al funzionamento delle scuole autonome e evidenti tentativi di
ritornare ad un Ministero centralizzato e a scuole anonime.
Le
politiche sul personale sono duramente coerenti con questo
impianto: si taglieranno oltre 34.000 posti di lavoro nei prossimi
tre anni fra gli insegnanti, come anticipo di una ben più vasta
riduzione, e circa 50.000 posti fra il personale ATA. Si riducono
gli stanziamenti in bilancio e si vuole riportare il contratto
degli insegnanti sotto il controllo politico del Ministero.
L’efficientismo del Ministro Moratti non sta producendo risultati
neanche dal punto di vista del funzionamento della scuola ed i
tanti problemi sono sempre più pesanti.
Il
disegno di legge delega di riforma della scuola, recentemente
approvato, riporta indietro di decenni l’orologio della storia del
nostro Paese quando studiare era un privilegio per pochi e
lavorare una condanna per troppi.
Con la
delega si sottrae ogni discussione al Parlamento ed al Paese come
se la scuola fosse di proprietà di questo Governo.
Non si
punta, come chiede l’Europa, ad innalzare i livelli d’istruzione
per tutti ma solo per un gruppo ristretto e socialmente forte.
Si
abolisce l’obbligo scolastico previsto dalla nostra Costituzione
creando il far west dell’istruzione perché, non più garante la
Repubblica, ognuno si arrangerà secondo il suo reddito ed il
territorio nel quale vive.
E’
inaccettabile l’anticipo dell’iscrizione nelle scuole elementari
(che vedrebbero convivere nella stessa classe bambini con fino a
20 mesi di differenza) così come è sbagliata l’istituzione di un
sistema, dopo la scuola media, rigidamente separato tra la scuola
che conta (il liceo) e quella che consegna al mondo del lavoro.
La Cgil vuole una scuola pubblica, laica, di qualità per tutti e
in tutto il Paese.
Il
patrimonio di sapere ed il suo costante incremento sono il metro
del progresso civile, democratico e sociale di un Paese. Questo è
stato deciso dal Ministri dell’istruzione europea. Coerentemente,
il nostro obiettivo è quello che i sistemi scolastici
contribuiscano a costruire l’Europa dei cittadini, dei diritti,
della cultura.
L’innalzamento dei livelli di istruzione di tutti, la garanzia di
un qualificato sistema di educazione degli adulti, lo sviluppo di
luoghi di integrazione fra istruzione e formazione rappresentano i
cardini della nostra proposta.
I nostri obiettivi sono i seguenti:
-
Sostegno
ai processi di riforma in corso, a partire dallo sviluppo
dell’autonomia scolastica, perché la scuola ha bisogno di
certezze e non è possibile che ad ogni governo cambino le regole
di funzionamento;
-
Risorse
per lo sviluppo dell’autonomia scolastica contro ogni
centralismo, sia esso statale che regionale;
-
No alla
delega sulla riforma dell’istruzione perché la scuola non è la
proprietà privato di alcuni e tutti debbono poter contribuire
alla sua riforma e controllarne l’applicazione;
-
La scuola
che vogliamo ha l’ultimo anno di scuola dell’infanzia
obbligatorio; almeno 10 anni di obbligo, impedisce scelte
irreversibili nella secondaria mediante scambi e confronti tra i
canali concorrenti all’attuazione dell’obbligo formativo a 18
anni;
-
Vogliamo
una trasparente e corretta gestione della legge sulla parità,
nel rispetto del divieto costituzionale di trasferire risorse
alle scuole private;
-
Vogliamo
organi collegiali democratici e partecipativi, non la brutta
copia di consigli di amministrazione quasi che i diritti dei
ragazzi fossero merci da consegnare al mercato.
-
Vogliamo
risorse per acquisire con il contratto retribuzioni europee per
i docenti, come convenuto con il precedente Governo, e per
retribuire adeguatamente le professionalità del personale ata;
Vogliamo
una rapida chiusura del contratto della Formazione professionale
convenzionata scaduto ormai da cinque (!) anni contro ogni
tentativo di annullare il contratto nazionale.
PREVIDENZA
Il disegno di
legge delega approvato dal governo s’ispira direttamente alle
proposte avanzate da Confindustria nel convegno di Parma. Queste
puntano al drastico ridimensionamento del sistema pensionistico
pubblico con la decontribuzione e l’obbligatorietà della
previdenza complementare.
SANITA'
La legge n. 405
del 16 novembre 2001, nel definire le risorse disponibili per il
finanziamento del Servizio sanitario nazionale, riconosce alle
Regioni la libertà di scegliere modelli gestionali differenti per
la gestione degli ospedali e dei servizi.
Le legge
finanziaria 2002 prevede la privatizzazione degli Istituti di
ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) attraverso la loro
trasformazione in Fondazioni.
Il decreto che
recepisce l’accordo Stato-Regioni del 22 novembre 2001 e definisce
i livelli essenziali di assistenza dovuti a tutti i cittadini
italiani nell’ambito del Sistema sanitario nazionale, lascia
discrezionalità alle Regioni, sia per l’individuazione dei farmaci
gratuiti e di quelli soggetti a ticket, sia per la modalità di
erogazione delle prestazioni appropriate ed essenziali.
L’insieme di
questi provvedimenti mette in discussione l’universalità e
l’uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale e
quindi l’equità del Servizio sanitario regionalizzato.
L’obiettivo è
quello di privatizzare i servizi più remunerativi e di garantire
l’assistenza sanitaria solo ai più poveri.
La Cgil considera la salute un diritto di
cittadinanza inalienabile e perciò sostiene la necessità di un
Servizio sanitario nazionale pubblico e universalistico.
.